mercoledì 27 ottobre 2010

Fellini e Castaneda

L’interesse di Federico Fellini per il mondo soprannaturale, e per il paranormale, è ben noto: ed è anche il soggetto più o meno nascosto di alcuni suoi film, come “Giulietta degli spiriti”.
E’ per questo motivo che Fellini frequentò il misterioso sensitivo torinese Gustavo Rol, e contattò Carlos Castaneda, antropologo in origine, famoso per i suoi libri sui “brujos” messicani (stregoni, maghi, sciamani) e sugli allucinogeni: che però, avverte Castaneda, sarebbero utili solo nella fase iniziale e molto dannosi se usati sempre, secondo l’insegnamento di “don Juan”, lo stregone messicano che fu maestro di Castaneda ed è citato nell’articolo. Castaneda era un altro personaggio misterioso: all’epoca di questi articoli era ancora vivo, e l’intervista che diede a Medail è da considerarsi una rarità. Non esistono sue fotografie, tranne una sfocata di quando aveva vent’anni e prese la laurea, ed altre fatte per Time nelle quali però si nasconde sempre il volto, scherzando con il fotografo. I suoi libri sono pieni di cose stupefacenti, ma quanto ci sia di serio e quanto di inventato è ancora da stabilire.
PER UN FILM MANCATOdi Cesare Medail, corriere della sera 21.11.1997
Appena seduti al «Moustache Café», Castaneda parla di Fellini. «Federico, grande, intelligente, sensibile uomo. Peccato sia morto così giovane, ma mangiava troppo e comprimeva la sua energia. Quella volta a Roma, nel 1984, mi portò in un ristorante dove servivano dodici portate. C'era anche Marcello (Mastroianni): loro mangiarono tutto, io mi spaventai».
Castaneda racconta che Fellini voleva fare un film ispirato al mondo di don Juan: «Era affascinato dall'universo dei brujos perché era un visionario. Voleva anche provare per una volta il peyote, ma gli dissi che non era consigliabile: con quel che mangiava, sarebbe stato un disastro».
Il film non si fece: Fellini dirà che le visioni di Castaneda lo attiravano e insieme lo turbavano. Ne fece un racconto, uscito a puntate sul «Corriere» nell'86. Nel conversare anglo-ispanico Castaneda infila qualche parola d'italiano e viene fuori un particolare biografico del tutto inedito: «Quando ero giovane, trascorsi un periodo a Milano per studiare arte a Brera: era direttore lo scultore Marino Marini. L'aveva voluto mio nonno materno, siciliano, scultore autodidatta e donnaiolo impenitente. Diceva sempre: la bella Italia, porca miseria...».
A TU PER TU CON FELLINIdi Alberto Dentice, L’espresso 9 luglio 1998
Federico Fellini era affascinato dal mondo di Castaneda. Quelle storie popolate di brujos dotati di poteri paranormali, riti magici di antiche civiltà e funghi allucinogeni erano parte, per lui, di un immaginario al tempo stesso familiare ed esotico, spaventoso e affascinante. Lo scrittore latino-americano si considerava un grande ammiratore di Fellini. Insomma tra i due covava un'attrazione fatale che prima o poi sarebbe dovuta scattare. E difatti scattò, anche se le cose non andarono come previsto.
Fellini sognava di realizzare un film ispirato al mondo di Don Juan. Ne aveva parlato con Alberto Grimaldi, il suo produttore. E questi si era dato da fare per propiziare l'incontro. Nel 1984, dopo molte insistenze, Castaneda arrivò a Roma. «Quella volta», ricordava, «Federico mi portò in un ristorante dove servirono dodici portate. C'era anche Marcello Mastroianni. Loro mangiarono tutto, io mi spaventai a morte: mangiavano troppo».
Durante la cena i due parlarono della possibilità di trasferire in un film una storia ambientata nel mondo magico degli stregoni messicani. Castaneda sembra diffidente. Fellini e il produttore insistono. E così alla fine decidono di darsi un nuovo appuntamento, a Los Angeles, per fare una serie di sopralluoghi nello Yucatan e verificare l'attuabilità del progetto. E così fu. Fellini assieme al figlio di Grimaldi e ad altri quattro amici partì per gli Stati Uniti. Ma a Los Angeles iniziarono i problemi. Castaneda pareva essersi dileguato nel nulla. Fellini cominciò a ricevere misteriose minacce e ad avvertire la presenza di strane entità. Ma pur spaventato decise lo stesso di compiere il sopralluogo. Destinazione Tulum, l'antica città azteca situata sulle sponde dell'Oceano Atlantico. Da quel viaggio, che ben presto prese le pieghe di una inquietante avventura esoterica, Fellini trasse l'idea di una storia per un film, "Viaggio a Tulum", che non riuscì a realizzare.
In compenso Milo Manara ne disegnò una serie di tavole a fumetti. Fra i personaggi si riconoscono Snaporatz (Mastroianni), il giornalista Vincenzo Mollica e, nei panni del cameriere messicano fragorosamente allegro e ridanciano, proprio Carlos Castaneda. Manara assicura che quel disegno, preso di sana pianta dagli story board di Fellini, costituisce il ritratto più verosimile di Castaneda, versione 1984.


Enzo Biagi intervista Federico Fellini, dal volume “Dicono di lei”, ed. Rizzoli, anno 1978
(...) - Dal punto di vista religioso, come ti descrivi?« Un uomo che è portato a considerare il segreto, l'arcano, avvincente, e fondamentale. L'inatteso, l'inaudito, lo sconosciuto è un sentimento da coltivare. Ti arricchisce, ti rende più completo. Einstein, che ha tentato di indagarlo anche sul piano scientifico, ha concluso: “Niente è più affascinante del mistero”».
(...) - A un certo momento sei stato così male, tutti dicevano: «È molto grave, forse non ce la fa ». Come ti sentivi? Hai paura di morire?« Ho avuto la percezione che potevo essere molto vicino al passaggio. Tutto è nato da una iniezione contro l'influenza. Il dolore cresceva, ero schiacciato da un peso enorme sul petto. Abitavo in una camera d'albergo. Non sono riuscito a suonare il campanello, ho rovesciato il telefono, sono caduto disteso per terra, riverso sulla moquette. Per anni ho sentito l'odore della polvere, mi prendeva il ricordo angoscioso di quella mezz'ora passata sul pavimento, i pensieri erano lucidissimi, com’erano strane le cose viste da quel punto. Mi dicevo: «Sto per morire », e lo ritenevo anche giusto, perché rimandavo da un anno e mezzo un film, mi pareva di non saper più fare il mio mestiere, non c'era quindi più ragione di vivere, e mi sembrava che tutto accadesse nella scenografia necessaria, una stanza qualsiasi, anonima, perché mi sono sempre sentito zingaro, viandante. Poi, da dov'ero, vedevo il telefono ribaltato e una poltrona, ma non riuscivo a sapere bene che cos'erano, mi venne in mente un'esperienza mistica come quella provata con l'Lsd, l'acido lisergico, il estasi, il nirvana; avevo pianto come un vitello. Vedevo dei dischi con delle buste colorate, ma non sapevo più dire busta, disco, colore, guardavo una mano, e non riuscivo a identificare quella medusa fluttuante, vagante, che veniva verso la mia faccia. Immagini mostruose e sconosciute. Sto proprio per andare, mi dicevo. Attraverso la finestra, era una notte di luna, scorgevo il Palazzo dei Congressi, surreale, come una pittura di De Chirico. Già, mi dicevo, volevo raccontare il viaggio di Mastorna nella morte. Ho cercato di aprire il portone proibito, adesso si richiude e mi stritola. Poi, per la prima volta, l'idea di Dio. Dio geometra, scienziato: un principio di estrema esattezza, come un teorema. Non mi facevo pena per niente».
- Che cosa ti consola? Che cosa ti fa disperare?
«Non capire mi dà una grande protezione. Continuare a sentire che, tutto sommato, la penombra diventa più fitta attorno a te, mi rende più fervido. Che cosa mi addolora? Certi rigurgiti di fascismo, inteso soprattutto come una componente del costume, la tendenza ineluttabile a scivolare nella stupidità, nel conformismo, nelle idee generali degli altri, questa implacabile pigrizia, questo desiderio inconscio di non essere liberi, di rimandare le decisioni ad altri, al Papa, al ministro, al Padre Eterno...»
(Enzo Biagi intervista Federico Fellini, dal volume “Dicono di lei”, ed. Rizzoli, anno 1978)


PS: Le immagini vengono da "Block notes di un regista", film di Fellini del 1968. Il fumettoviene probabilmente da L'Espresso, ma sono passati tanti anni e di preciso non saprei dire.

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