martedì 26 ottobre 2010

I clowns ( IV )

I clowns (1971) Regia: Federico Fellini - Soggetto e sceneggiatura: Federico Fellini, Bernardino Zapponi - Fotografia : Dario Di Palma - Musica: Nino Rota, diretta da Carlo Savina - Costumi: Danilo Donati - Trucco: Rino Carboni - Effetti speciali: Adriano Pischiutta - Scenografia e arredamento: Renzo Gronchi.
Interpreti: la troupe: Federico Fellini, Maya Morin, Lina Alberti, Alvaro Vitali, Gasparino; Anita Ekberg; Tristan Rémy; al circo Orfei: Liana, Rinaldo e Nando Orfei, Franco Migliorini (il domatore); i clowns francesi: Alex, Bario, Père Loriot (Georges Bazot), Ludo, Maiss, Nino; Pierre Etaix, Victor Fratellini, Annie Fratellini, Jean Baptiste Thierrèe, Victoria Chaplin, Charlie Rivel, , Buglione, Jan Houcke, Pipo e Rhum; i clowns italiani: Billi, Scotti, Fanfulla, Reder, Valentini, Merli, Rizzo, Pistoni, Furia, Sbarra, Carini, Terzo, Vingelli, Fumagalli, Zerbinati, i quattro Colombaioni, i Martana, Maggio, Janigro, Maunsell, Peverello, Sorrentino, Valdemaro, Bevilacqua. Durata: 93'.

- Signor Fellini, quale è il messaggio che lei vuole dare con questo film? – chiede l’intervistatore, ai bordi della pista.
- Beh, il messaggio che vorrei dare... – comincia Fellini, ma subito un secchio capovolto gli finisce in testa. Al che il giornalista vorrebbe aggiungere qualcosa, ma subito un altro secchio uguale arriva anche per lui.
I clowns bianchi sono impressionanti, severi: sembrano maschere No e Kabuki, si pensa a Tadeusz Kantor e Beckett, ma ci si diverte. La scena finale è già un anticipo di Kantor, “La classe morta”. E, se Fellini avesse usato il sonoro originale invece del suo solito doppiaggio malfatto, saremmo molto vicini a “Tokyo-ga”, il documentario di Wenders su Yasujiro Ozu.
Il clown bianco, solenne e ieratico, comincia il discorso: « Signore e signori, vola per le osterie una dolorosa notizia: che il signor Augusto detto Pagliaccio s’è dipartito, è involato, è deceduto, è morto. I suoi pochi amici e i suoi molti creditori piangono l’immatura scomparsa, avvenuta a soli duecento anni d’età. Non si poteva dire bello, non si poteva dire intelligente, non si poteva dire niente su di lui, perché a ogni più piccola osservazione replicava lanciando zampilli di saliva sulla faccia...»Il discorso continua ma è oscurato dalla gag dei cavalli neri del carro funebre («Go-back-to-your-place!» intima il domatore inglese al cavallo ribelle).
Prosegue lo speaker: «... faceva ridere i bambini e piangere i propri figli...» e ne descrive la malattia e la morte, sopraggiunta « con la fuoriuscita dell’anima dall’orecchio destro».
La voce di Fellini nel megafono fa accelerare la corsa del corteo, sempre di più; uno alla volta i clowns si fermano, esausti. Il piccolo e gentile Fumagalli si avvicina a Fellini, in primo piano: dice “non ce la faccio”, ed è visibilmente stanco. Si siede sul bordo della pista e osserva quel che succede.
Lo spettacolo – pardon, la cerimonia – continua: come nella vita, ognuno continua con le sue gags e le sue scenette, si compiange il morto ma si vive, si lavora, si beve, si mangia. E poi il carro funebre si apre e spunta una enorme bottiglia di spumante, il tappo parte; il clown è vivo, e comincia la festa. Poi, d’improvviso, cade il silenzio. La festa è finita, e anche le riprese.

Fumagalli, timido e gentile, è ancora seduto a bordo pista, e si rivolge a Fellini.
- Mi è piaciuto molto.
La voce di Fellini dice: “Potete spegnere, è finito”.

- Dottore, posso andare a casa?
- Sì. Stai meglio, ora?
- Sì, sì. Lo sa, signor Fellini? Una volta facevo un numero con un mio compagno che si chiamava Frufru. Si faceva finta che lui era morto. Io entravo in pista e dicevo: “Indove è Frufru?” “Ma non lo sai? – diceva il direttore – E’ morto. “ “Ma come, morto: - dicevo io – mi doveva ancora restituire le dieci candele e le salsicce che gli ho prestato l’anno scorso!” “Ebbene, è morto “, mi diceva il direttore. “Dove posso trovarlo?” dico io. “Ma cretino, se ti dico che è morto!” Allora io, che non mi davo per vinto, mi mettevo a chiamarlo: “Frufru, Frufru!” Niente, non rispondeva. “Che sia morto davvero? - dicevo io. – E, se è morto, come faccio a trovarlo?” Uno non può mica sparire così, dicevo io, da qualche parte deve pur stare. “Frufru! Frufru!” Finché non mi viene un’idea: lo chiamerò con la tromba, come quando lavorava con me. E così comincio a chiamarlo con la tromba. Suono le prime note, sto a sentire... niente. Riprovo. Era una canzone molto bella, che faceva piangere. Faceva così: ... »
E parte la tromba di Nino Rota, bella e struggente come quella di Gelsomina e Zampanò. E Frufru arriva davvero, e comincia a suonare insieme all’amico ritrovato.
Come capita spesso (quasi sempre) è difficile trovare le informazioni, anche dopo aver visto il film e rovistato un po’ ovunque, libri su Fellini compresi: che sono pieni di fotografie di Anita Ekberg nella Fontana di Trevi, di Mastroianni col cappello e l’abito bianco, di donnoni enormi con le tette di fuori.
Per fortuna, c’è internet: sul sito “Circus Fan Forum” (che ringrazio sentitamente) trovo le informazioni che cercavo:
« Per l'organizzazione del documentario "I Clowns" Fellini si avvalse della famiglia Orfei che con molta probabilità fornì anche quel primo vecchio chapiteau in cui si ambienta la prima sequenza. Il domatore di leoni avrà avuto come controfigura molto probabilmente il domatore Franco Migliorini che compare nella scena della cena nella carovana vantando le ferite e i punti di sutura accumulati nel corso della sua carriera da domatore. Migliorini è stato sin dagli anni Cinquanta domatore dagli Orfei. Nei gruppi di clowns che in varie sequenze vengono inquadrati nel corso del documentario ci sono senz'altro quattro della famiglia Colombaioni. Inoltre Nani (scomparso 5-6 anni fa) raccontava di aver prestato consulenza per le truccature dei clown di quel film. Altri sono attori che lavoravano con Fellini.
Gli unici clown "veri" che compaiono nel film di Fellini (a parte a Charlie Rivel, Bario e i Fratellini che non lavorano con il proprio numero ma vengono mostrati nelle loro abitazioni) sono Enrichetto Fumagalli (ultima scena del film) padre dell'attuale Gianni Fumagalli Huesca, e la coppia Amleto e Ginetto Cagna con la ripresina dell'acqua nella pista del Circo a Tre Piste di Liana Nando e Rinaldo. Sia Fumagalli che i Cagna facevano parte della compagnia dei Fratelli Orfei. »
Chi ha visto il film sa che uno dei personaggi più belli è proprio Fumagalli, Enrichetto Fumagalli (per inciso, pare che in via Fumagalli a Rimini ci sia la casa natale di Fellini). Fumagalli è un cognome tipico brianzolo, visto che si tratta di un mio “vicino di casa” mi piacerebbe saperne qualcosa di più: la finezza e la gentilezza di questo piccolo clown (uno dei pochi a parlare con la sua vera voce) non si dimenticano. Fumagalli, già anziano, ha qualcosa di angelico e di infantile nel volto e nei comportamenti; e si capisce bene perché Fellini gli ha voluto affidare la scena finale, quella che dà senso a tutto il film.
E’ anche per questo, forse, che mi sorge spontaneo il ricordo di un altro omino fine e gentile, Bruno Munari e il suo “Nella nebbia di Milano”: il più bel libro per bambini che io abbia mai avuto fra le mani, dove il Circo ha una parte importante. Sono i colori del circo, nel libro di Munari, a spuntare dalla nebbia man mano che si girano le pagine; ma è un’altra cosa che non si può raccontare, bisogna proprio cercare il libro e toccare con mano.
Va detto ancora che è meraviglioso il lavoro di Nino Rota sulle musiche del circo, un approccio che avrà ben presente il polacco Tadeusz Kantor, dieci anni dopo, usando in modo drammatico (da brividi) musiche brillanti come l’inizio dell’ouverture “La Perichole” di Offenbach per i momenti più intensi dei suoi spettacoli teatrali.

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