mercoledì 27 gennaio 2010

Il diavolo, probabilmente ( I )

Il diavolo, probabilmente (Le diable, probablement - 1977). Regia di Robert Bresson Fotografia di Pasqualino De Santis. Musica: nella sequenza della chiesa di Saint Remy, “Ego dormio, et cor meum vigilat” di Claudio Monteverdi . Musiche originali di Philippe Sarde. Con Antoine Monnier (Charles), Tina Irissari (Alberte), Laetita Carcano (Edwige), Henri de Maublanc (Michel), Geoffroy Gaussen (il libraio), Nicolas Deguin (Valentin), Regis Hanrion (lo psicoanalista). Durata: 95 minuti.

Si inizia con una notizia di cronaca, a Parigi: un giovane creduto suicida al Père Lachaise in realtà è stato ucciso. Se fosse il film di un altro regista, questo sarebbe un thriller in piena regola; e non si può dire che non lo sia, dato che solo alla fine sapremo tutta la verità. Ma questo è un film di Bresson, e il termine “thriller” o “giallo” lo si può usare solo nel modo in cui è stato usato, anche da critici importanti, per i romanzi di Dostoevskij. In fondo, anche “I fratelli Karamazov” è un thriller: chi ha ucciso il vecchio ricco ubriacone? Uno dei suoi figli, ma quale? Anche questo lo sapremo solo leggendo il libro.
Ho provato molte volte a leggere libri su Bresson, e sono sempre rimasto deluso. Forse Bresson è difficile da inquadrare, chissà. Si parla di cattolicesimo, di filosofia, si discute sul suo modo di girare un film e di raccontare una storia, e alla fine non rimane in tasca niente. Alle volte ho l’impressione che anche i critici più illustri non abbiano visto fino in fondo i film di Bresson, e non li biasimo perché sono film terribilmente difficili, e Bresson – che è un autore di enorme fascino - non fa assolutamente nulla per farsi piacere dal suo pubblico. Anzi, sono leggendarie, ormai una sintesi del suo stile, le sue riprese del torneo cavalleresco in “Lancillotto del lago”: che riguardano quasi esclusivamente gli zoccoli dei cavalli. Il torneo dei cavalieri c’è, non manca niente, ci sono le dame e i cavalieri, costumi e arredi sono megnifici e perfetti, ma noi vediamo quasi soltanto la terra calpestata dai cavalli, le zampe e gli zoccoli.
L’unica certezza che mi porto dietro, riguardo a Bresson, è Dostoevskij: per quanto riguarda questo film, soprattutto “L’idiota”, e soprattutto per le figure femminili: ma questo film è diversissimo dall’Idiota di Dostoevskij, che appare solo come un’eco, o un’ombra. Direi perciò che la cosa migliore da fare è provare a dare voce direttamente a Bresson, saltando i convenevoli e i riassunti e passando direttamente alla scena che dà il titolo a questo film, un titolo che colpisce: “Il diavolo, probabilmente.”
Trascrivo qui i dialoghi (siamo poco oltre la metà del film) con un’avvertenza: nei film di Bresson non si grida mai, si parla. Anche là dove io ho messo i punti esclamativi, la frase viene semplicemente detta, nel tono più neutro possibile.
La scena è questa: i due protagonisti maschili, molto giovani, stanno tornando a casa dopo aver assistito a una conferenza (o una lezione universitaria) sulla bomba atomica. Uno dei due, il maggiore, fa parte di un movimento ambientalista; molte sequenze del film sono già state dedicate all’inquinamento, alla fame nel mondo, ai nostri sprechi quotidiani (il film è di trent’anni fa, 1977: da allora le cose non sono migliorate, c’è stato qualche progresso ma nel complesso la situazione è ancora più drammatica).
Vediamo immagini di bombe atomiche, e di centrali nucleari. Una lezione universitaria, o forse una conferenza. Il relatore (giovane, sotto i trent’anni) spiega con termini tecnici precisi, poi dice che “ingegneri e tecnici ci stanno pensando”, e risponde alle domande con tono positivo e tranquillizzante.
- "Consoliamoci, saranno le generazioni future a pagare”, è il commento di Charles e Michel.
Poi, sul tram, i due tornano a casa e continuano a ragionare sulla conferenza e sulle parole del relatore. Bresson illustra il dialogo con sequenze quasi documentarie: i viaggiatori che salgono e scendono, le porte, l’obliteratrice, i gradini, gli specchietti, le manovre dell’autista. Tutto molto usato ma molto ordinato e pulito.
Charles: Per tranquillizzare la gente basta negare l’evidenza.
Michel: Quale evidenza? Siamo in pieno soprannaturale, niente è visibile. (...)
Charles: I governi hanno la vista corta.
Primo passeggero (un uomo tranquillo sui 40, voltandosi da davanti): Non prendetevela con i governi! In questo momento, in tutto il mondo, nessuno e nessun governo può vantarsi di governare. Sono le masse a determinare gli eventi, e forze oscure di cui è impossibile conoscere le leggi.
Voci di altri passeggeri (mentre è inquadrato lo specchietto retrovisore esterno del tram):
Voce femminile: La verità è che qualche cosa ci spinge contro quello che siamo.
Voce maschile: Bisogna starci, starci sempre.
Altra voce maschile: Se no passi per quello che protesta sempre.
Voce maschile: Ma chi è allora che si diverte a farsi beffe dell’umanità?
Altra voce: Già, chi ci manovra sotto sotto?
Primo passeggero (inquadrato): Il diavolo, probabilmente.
Frenata improvvisa, un incidente. Il conducente scende a controllare. Clacson, rumori di strada, inquadratura ferma sulla porta aperta e sull’estintore a lato guida.
Il bello è che questa scena si potrebbe tranquillamente tagliare: ai fini della storia che ci viene raccontata è del tutto ininfluente. Il passeggero che dice la battuta sul “diavolo, probabilmente” non lo avevamo visto prima e non lo vedremo più, Charles e Michel non fanno niente di particolare, stanno seduti, nessuno li disturba, sono come gli altri passeggeri del tram. Un tram dove si sale e si scende, come la nostra vita; un viaggio dove magari succedono delle cose, ma sono fuori, per strada, e non ci toccano: o almeno così crediamo. Possiamo passare tutta la nostra vita, dentro a quel tram, a chiacchierare dei massimi sistemi ignorando tutto quello che succede a due passi da noi.
In una scuola per sceneggiatori, nove volte su dieci la indicherebbero come un errore, una cosa inutile da togliere per non appesantire. Invece il senso del film sta qui, mettendo questi dialoghi e questa situazione l’autore ci invita a riflettere su quello che abbiamo visto e su quello che sta per succedere.

Torniamo indietro a sei mesi prima, all’inizio del film.
I protagonisti sono quattro, due ragazzi e due ragazze. Il personaggio principale è Charles, le due ragazze sono Alberta ed Edvige; tutte e due sono legate a Charles. Il quarto è Michel, elegante, ambientalista. Sono tutti volti rohmeriani, facce pulite, bei volti, eleganti. L’unico che appare un po’ trasandato è Charles, ma a Bresson il trasandato vero non riesce, Charles somiglia più a un Cristo giovane che a un hippy, nonstante i capelli lunghi e il borsone di tela a fiori. Sono tutti giovani dall’aspetto pulito, virginale, quasi angelico; gonne e golfini per le ragazze, ben pettinati e vestiti con cura anche i ragazzi.
Una delle ragazze (lo vedremo più avanti) ha una relazione con un libraio poco più vecchio dei quattro, sui trent’anni, che la paga per stare con lui. Il libraio è una presenza un po’ mefistofelica: non tanto nell’aspetto quanto nei suoi comportamenti.
Un sesto protagonista appare verso la fine: è Valentin, amico di Charles. Valentin si droga, Charles cerca di aiutarlo ma si metterà nei guai per aiutarlo. Nel finale, sarà Valentin a dare “l’aiuto da antico romano” all’amico.
(continua)

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