martedì 26 gennaio 2010

La carrozza d'oro ( I )

La carrozza d’oro (La carrosse d'or , 1952). Regia: Jean Renoír; Soggetto: liberamente ispirato a Le carrosse du Saint-Sacrement di Prosper Mérimée; Sceneggiatura: Jean Renoir, Renzo Avanzo, Giulio Macchi, Jack Kirkland e Ginette Doynel; Fotografia: Claude Renoir e H. Ronald; Scenografia: Mario Chiari e Gianni Polidori; Musica: Antonio Vivaldi adattato da Gino Marinuzzi; Interpreti: Anna Magnani (Camilla), Duncan Lamont (il viceré), Odoardo Spadaro (Don Antonio), Riccardo Rioli (Ramon), Paul Campbell (Felipe), Nada Fiorelli (Isabella), Georges Higgins (Martinez), Dante (Arlecchino), Rino (il dottore), Gisella Mathews (la marchesa Altamirano), Lina Marengo (la vecchia attrice), Ralph Truman (Duca di Castro), Elena Altieri (Duchessa di Castro), Renato Chiantoni (Capitan Fracassa), Giulio Tedeschi (Baldassarre), Alfredo Kolner (Florindo), Alfredo Medini (Pulcinella), i fratelli Medini (quattro bambini), John Pasetti (capitano delle guardie), William Tubbs (l'albergatore), Cecil Mathews (il barone), Fedo Keeling (il visconte), Jean Debucourt (il vescovo). Durata: 103’

Ci sono film che di per sè non sono complicati, ma che restano ugualmente difficili da capire finché non se ne conosce la chiave, la parola d’ordine per potervi entrare. Per esempio, la mia esperienza personale è che se non si conosce “La Périchole” di Offenbach è difficile entrare dentro “La carrozza d’oro” di Jean Renoir (con Luchino Visconti dietro le quinte, ad imparare il mestiere); ed è quindi dall’operetta di Offenbach che inizio a raccontare la storia.
La Périchole (che si pronuncia, non so spiegare perchè, Perikòl) è, nell’opera buffa del grande musicista franco-tedesco, la favorita del Re: una peruviana. La giovane donna, per non dare troppo nell’occhio, viene data in sposa a un giovane ufficiale che se ne innamora subito, ricambiato. Ma, quando salta fuori l’inghippo, il giovane si sente ingannato e si ribella. Si passa attraverso varie peripezie, compreso un tentativo di colpo di Stato, ma alla fine il bene trionfa (non avevamo dubbi) e i due innamorati possono cantare insieme queste sublimi parole: “Felicità Felicità etcetera etcetera” (l’opera è cantata in francese ma Offenbach, da vero burlone, si sta prendendo un po’ gioco dell’opera italiana). L’operina a prima vista ha poco a che vedere con “La carrozza d’oro” di Renoir, ma ha una musica molto bella (c’è un’incisione discografica ottima, con Teresa Berganza e Josè Carreras) e condivide col film di Renoir l’ambientazione in un Perù di fantasia, con una donna di teatro al centro della rappresentazione, e che donna. Una donna contesa da diversi uomini, preda ambita soprattutto per la sua fama e l’aura esotica che la circonda.
Si capisce meglio a questo punto, al di là degli obblighi della coproduzione italiana, la scelta di Renoir di scegliere per la parte principale Anna Magnani: che per quella parte non avrebbe il fisico, “le physique du role”, soprattutto per noi che siamo abituati a vederla come donna del popolo. La Magnani appare nel film come una forza naturale, quasi come una albero o una pianta, forse una rosa antica e un po’ selvatica, robusta, vitale, nodosa e forte, intorno a cui ronzano e vivono api, bombi, cetonie e altri insetti, al caldo e nell’ombra.
La Magnani dentro a questo film è soprattutto il Teatro, come la Servetta nel Capitan Fracassa di Théophile Gautier. Troppo vecchia per far innamorare uomini visibilmente più giovani di lei, e troppo sanguigna e popolaresca per un ambiente di corte? No, se si tiene conto di questi particolari: è questo l’effetto che voleva Renoir.
“La Carrozza d’oro” è l’illusione che il teatro cambi tutto: come i libri, i film, Don Chisciotte, chiudersi nell’illusione e nei sogni per evitare la realtà e non dover combattere con i mulini a vento. I racconti sul teatro sono spesso spietati: quasi sempre le attrici sono belle solo sul palcoscenico, il loro fascino dura solo lo spazio della recita: è questo che ci racconta Gautier nel “Capitan Fracassa” (che ha lunghi capitoli dedicati al teatro, quello vero); ma per esempio, per venire a tempi un po’ più vicini a noi, non sono lusinghieri i ricordi di Wanda Osiris vista da vicino.
L’altro piano di lettura rimanda a “La regola del gioco”, un altro dei grandi capolavori di Renoir. Girato nel 1939, alla vigilia della guerra, “La regola del gioco” mette in scena i rapporti di potere, ma sotto la forma di una commedia dove tutto sembra leggero e futile ma dove la violenza c’è e si manifesterà anche là dove sembra impossibile che arrivi.
“La carrozza d’oro” assomiglia molto a “La regola del gioco”, soprattutto quando Renoir dà spazio al Vicerè e alla sua corte, anche qui un tono di commedia per sfiorare e toccare argomenti serissimi; e lo stile adottato è sempre quello del gioco, quasi dello scherzo. Renoir mette in scena il Potere in un gioco ancora più stilizzato, un esercizio di stile apparentemente futile, a tratti irritante, come lo Stravinskij del Pulcinella e di “The Rake’s progress”, andato in scena negli stessi anni. Ma, alla fine, sarà il volto del Capocomico ad assumere su di sè tutta la serietà e la drammaticità necessaria, nel suo dialogo con Camilla: uno dei momenti più alti e più significativi del cinema di Jean Renoir.
Non è un film facile, e le perplessità sono più che giustificate, ma è comunque un evento, una rara avis, la manifestazione di Qualcosa, un’epifania necessaria e inaspettata, non necessariamente bella ma di rara attrazione, quasi disturbante. Cattura anche senza volere, ci si trova attirati quasi senza rendersene conto, così come fece la Magnani nella sua vera vita con Rossellini.
Solo Renoir poteva fermare un momento come questo, ritrarlo (fotografarlo) e consegnarlo ai posteri. Un dodo di Alice, o un dinosauro, un unicorno, un grifone...
Bisogna proprio mettersi d’impegno per non vedere il Teatro, le Maschere, le mille declinazioni di Arlecchino e Colombina: eppure molti critici ci sono riusciti. Tra di loro, il pur ottimo Venegoni che scriveva: « (...) Il soggetto de “La carrozza d'oro” è un complicato pastiche sovrapposizione di diverse storie, parte delle quali collocate nella realtà e parte nella finzione scenica recitata dagli attori che sono i protagonisti del film, con continui scambi fra i due piani e la continua allusione maligna che, per quanto riguarda lo spettatore, anche ciò che si suppone essere la realtà è a sua volta una finzione scenica. Altra complicazione da questo punto di vista l'ambientazione del film in un Perú settecentesco di maniera, che imbroglia molto le carte di una possibile interpretazione realistica della realtà rappresentata. Protagonista è Anna Magnani, circondata da un piccolo stuolo di caratteristi, tutti mobilitati per dare all'interpretazione quel tono guittesco che sottolinei il concetto di commedia della vita che il film vuole appunto essere ( « Tu non sei fatta –dice il capocomico Don Antonio, alla Magnani-Camilla – per ciò che si chiama vita.... »). E su tutto domina il fascino della musica di Antonio Vivaldi, alla quale Renoir era stato in quell'occasione iniziato da Giulio Macchi, che del film era l'aiuto regista. » (dal volume su Jean Renoir di Carlo F. Venegoni, Il Castoro Cinema)
Su internet ho trovato molte foto, quasi tutte della Magnani e del torero. Ma, vedendo il film, che meraviglia questi arlecchini bambini, degni di Picasso (e di Velazquez)... Il “tono guittesco” e “il piccolo stuolo di caratteristi” del pur bravo Venegoni significano non aver centrato il film. Ammetto che non è facile, se io sono riuscito a entrarci (almeno un po’) lo devo soprattutto – oltre che a Offenbach - a Pergolesi, a Paisiello, a Mozart, a Stravinskij...
Il film inizia con l’arrivo della prestigiosa Carrozza D’Oro, voluta dal Vicerè del Perù in persona. E’ quasi come avere una Ferrari, o una Rolls-Royce: “E’ per rappresentanza”, spiega il Governatore, e i presenti annuiscono (pagherà lo Stato, questo è chiaro).
Ma sulla nave che ha portato la prestigiosa Carrozza viaggiavano anche dei Comici, un’intera compagnia di attori; e adesso sono anche loro nella piazza principale.
“Attori? Che scandalo! Il vescovo ne sarà sicuramente disgustato, quel santo.” – si commenta a corte.
Ma è proprio su un teatro, e su un sipario che si alza, che si apre il film: una scenografia a due piani, molto bella e molto classica, che si trasforma subito nella vita vera, a corte, dove il Vicerè sta per vedere, finalmente, la magnifica carrozza che si è fatto fabbricare apposta in Italia (proprio come se fosse una Ferrari). Ne loda le sospensioni (“puro acciaio inglese”) e conta di scaricarne il costo sullo Stato, come spese di rappresentanza.
Intanto gli attori sono arrivati, e il Capocomico don Antonio si guarda in giro.
- Cosa ne dite del Nuovo Mondo? – gli chiede il suo impresario.
- Che sarà bello quando sarà finito. – risponde, ancora di buon umore; ma il buon umore gli passerà quando vedrà il teatro, un rudere da ricostruire ex novo. Ma gli attori si rimboccano le maniche, e sanno il fatto loro anche come muratori e carpentieri: presto il teatro prende forma.
(continua)
PS: gli arlecchini che non sono di Renoir sono opera di Pablo Picasso.

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