venerdì 8 gennaio 2010

L'arco

L’arco (Hwal, 2005). Scritto e diretto da Kim Ki-duk. Direttore della fotografia: Jang Seon-back Costumi di Kim Kyung-mi. Musica originale di Kang Eun-il. Interpreti: Han Yeo-reum (la ragazza), Jeon Seong-hwang (il vecchio), Seo Si-jeok (il ragazzo), e altri. Durata: 90 minuti.

“L’arco” è un racconto mitico, qualcosa che ha a che fare con la mitologia classica, anche se è difficile stabilire se si tratta di Europa o di Asia. Ma è da qui che bisogna partire, dalle trasformazioni di Giove e dalle Metamorfosi di Ovidio, per capire questo film misterioso e affascinante. Non è la storia di un vecchio che vuole sposare una fanciulla, come si legge sulle recensioni e sui riassunti quando c’è da raccontare “la trama”: questo è solo l’aspetto esteriore, l’apparenza, la superficie. I tre protagonisti non hanno un nome, ed è solo per comodità che li chiamerò il vecchio, il ragazzo, la fanciulla: tre nomi molto emblematici, il “vecchio” è tutt’altro che vecchio, ed è un uomo saldo e forte, ma così appare ai due più giovani.
La sostanza è un’altra: che cos’ha di reale questa fanciulla, poco più che bambina, che vediamo all’inizio, sorridente e imperscrutabile, fare oroscopi misteriosi? Da dove viene quel suo sorriso, quella sua profonda forza e sicurezza? E’ un sorriso destinato a svanire, nel corso del film, per poi tornare nel finale, più forte e diverso. E’ il sorriso della sapienza eterna, e questa non è una fanciulla ma una dea, una norna, una nereide, forse la Terra stessa. Ed è il mare che la possiede, non il vecchio; come per Nettuno, come per Plutone. Forse si può dire che “L’arco” è la storia di Proserpina, ambientata in mare.
Ed è, ancora una volta, un racconto sul Tempo: ben esemplificato dal calendario del vecchio, un bel calendario da muro dove dapprima il Tempo scorre ordinato e silenzioso, preciso, ben scandito dalla Natura e dal passare delle stagioni, e pazientemente atteso dal vecchio che lo misura con precisione e soddisfazione, attendendone sereno il compimento fino a poterne cogliere i frutti. Ma poi il vecchio si ribellerà al Tempo, alla giovinezza che sfugge; forse vorrebbe che quella fanciulla rimanesse sempre fanciulla, come tutti i padri: ma non è possibile, la Natura deve fare il suo corso. Allora il vecchio si ribella, tenta di far scorrere il Tempo più veloce per poter cogliere il frutto prima che gli venga rubato; poi quando vede che è tutto perduto strappa con rabbia il calendario e lo getta via, in gesto di aperta ribellione.

Il Tempo è anche nel passato e nel presente, rappresentati dal matrimonio in costume antico, che è una sequenza a cui Kim dedica molta attenzione, e dalla presenza del giovane studente che si innamora della ragazza. Il matrimonio antico verrà poi celebrato sotto gli occhi del giovane, con l’Ipod e il cellulare-macchina digitale: la celebrazione di una divinità, l’incredibile manifestazione di un mito antico davanti ai nostri occhi moderni. Pan è morto, ma è ancora con noi, come nel romanzo di James Stephens (“La pentola dell’oro”), dove si mescolano realtà quotidiana e mito.

Giordano Bruno, nel ‘500, parlava della “magia naturale dei bambini”. Citando, sempre per comodità, dal film di Giuliano Montaldo (molto accurato nella ricostruzione storica), la frase di Bruno è questa: «I bambini si portano dentro una magia naturale che, a poco a poco, crescendo, sono costretti a distruggere.»
La Magia Naturale di cui parlava Giordano Bruno è quindi la “magia naturale dei bambini”, che ben conosciamo e che si manifesta nel sorriso iniziale della fanciulla, un sorriso misterioso e luminoso che scomparirà quando la bambina lascerà il posto alla donna, quando il mondo sarà conosciuto e compreso e perderà la sua magia. Un sorriso ineffabile e sovrannaturale, che colpisce a fondo e taglia il fiato per l’emozione; ma non è tanto la bellezza o la giovinezza a colpire. Su quel volto è disegnato un mistero, il mistero del tempo e del suo fluire. (E forse il vecchio è proprio il Tempo?)
Han Yeo-reum, la protagonista, quando fu girato il film aveva ventidue anni: ed è quasi incredibile, a tratti sembra una bambina e verrebbe da non crederci. Ma, andando avanti nel film, si capisce che, oltre alle qualità fisiche, qui c’è dietro un grande lavoro di attrice. Viene quasi da pensare che Kim Ki-duk abbia deciso di girare “L’arco” costruendolo su misura per le grandi capacità questa ragazza, e probabilmente è andata davvero così. La capacità di questa attrice, di passare da una sequenza all’altra da bambina a donna a ragazza e poi ancora a donna , è una qualità vista pochissime volte e che la apparenta alle grandissime, alla Ullmann, alla Magnani, a Giulietta Masina. Non so se le riuscirà sempre, può darsi che quest’incanto sia dovuto anche all’età, al momento di grazia; ma la sua interpretazione è straordinaria, di quelle che non si dimenticano. E’ una capacità che condivide con gli altri due protagonisti, il vecchio (Jeon Seong-hwang) e il ragazzo (Seo Si-jeok) . Volti, sguardi, gesti: attori meravigliosi, un miracolo che rimanda a Ingmar Bergman, forse l’unico ad aver fatto al cinema, sistematicamente, questo studio sui volti, sui primi piani, sulle emozioni. E’ grande lo sgomento davanti alla bellezza e al mistero di queste immagini, e confesso che Kim Ki-duk è l’unico tra i registi di oggi ad avermi dato le emozioni che mi davano Kurosawa, Tarkovskij, Fellini, Kubrick, Huston, Antonioni. Un altro rimando a cui mi ha fatto piacere pensare, in alcune scene, è il collegamento tra “L’arco” e l’Atalante di Jean Vigo, un film degli anni ’30, meraviglioso, che tutti i film makers conoscono. Anche nel film francese c’è l’acqua, c’è una barca, e c’è un trio di protagonisti composto da due giovani e un vecchio, ma sulla scacchiera i pezzi si muovono in modo molto diverso.
Ma “L’arco” è legatissimo alla nostra realtà quotidiana, non c’è niente di inverosimile, tutto è realistico e quotidiano. I pescatori dilettanti che salgono sulla nave del vecchio, ancorata in mare aperto, sono persone vere e reali; fanno commenti un po’ volgari ma non si chiedono cosa c’è dietro alla situazione del vecchio e della ragazza, anzi pensano di poterne ricavare qualcosa. Il tema, importante ma qui solo accennato, è quello della prostituzione minorile: tema già trattato nel precedente film del regista coreano, “La samaritana”. Ma qui i tentativi di violenza e di approcci sessuali saranno sempre respinti, non è questo il luogo.
Testimoni della realtà quotidiana sono anche piccoli dettagli, come l’usura del legno della barca e dei divani (che il vecchio rattoppa alla meglio con il nastro adesivo), il dettaglio del cerotto sulle dita del vecchio (il tiro con l’arco provoca sempre qualche problema di questo tipo), e perfino i lividi sulle gambe della protagonista, ben visibili a causa della pelle bianchissima, lividi come quelli di una bambina qualsiasi che corre e gioca. Particolari ai quali non siamo più abituati, in un cinema sempre più levigato e plastificato, ma ben presenti nella nostra vita quotidiana. Al cinema oggi si cancellano perfino i nei, figuriamoci i lividi e i cerotti.
Non è quindi un caso che questo film del regista coreano venga subito dopo “La samaritana”, così duro e realistico, e che abbia in comune la stessa protagonista (anzi, quella delle due che nel film precedente muore in circostanze drammatiche). Ma qui bisognerà mettere da parte il significato “apparente” del film, e anche la “spiegazione” che viene data, cioè che la ragazza è stata rapita dal vecchio quand’era bambina: un fatto di cronaca vero ma che svia l’attenzione dal significato più profondo (sulla cronaca, sulla prostituzione minorile e sul sequestro di bambini bisognerà tornare, e lo farò quando parlerò di “La Samaritana”, dove questo tema è esposto con molta durezza e con una condanna molto forte, restando nell’attualità e senza riferimenti mitici). Per capire “L’arco” bisognerà togliere di mezzo anche le forme narrative a cui siamo abituati, le gabbie, i canoni, le maschere: certamente si può guardare a questo film come a una storia di sesso, di rapimenti, di cronaca nera, ma poi qualcosa stride, il finale “non torna” e si rimane sconcertati.
Si può ancora aggiungere qualche considerazione, ma sempre come appunti su cui lavorare: per esempio il richiamo fortissimo della nostra natura più primordiale, che comporta a volte anche la violenza ( con rimandi Jack London, e allo Stevenson di Mr. Hyde). Ma in questo film la violenza è solo accennata, quasi ritualizzata; non ci sono immagini violente come in altri lavori del regista coreano.
“Struggente e stupido, con un’ondata di rabbia”: così definisce l’amore tra il vecchio e la fanciulla l’interprete del vecchio, nell’intervista sul dvd. Ed è così, come nella vita reale ma anche come nei miti di Giove, di Odino, di Krishna: rabbia e distruzione (o autodistruzione), collegati all’amore.
E il contrasto tra il vecchio e il nuovo, tra il passato e il presente, è il tema vero del film. Kim pare dirci che nel contrasto tra il vecchio e il nuovo lui preferisce l’antico, farebbe volentieri a meno di digital e ipod, anche se gli piacciono e li usa e li apprezza. (ma anche questa sarebbe una spiegazione molto riduttiva). Oppure parla del negarsi al futuro, del rinchiudersi su se stessi. Oscillare tra il vecchio e il nuovo, amandoli entrambi.
A questo proposito, sottolineo due brevi sequenze: nel finale, rimasto solo a bordo, il ragazzo slega gallo e gallina, emblemi di un passato con cui è chiaramente a disagio. Non sa maneggiarli, non sa cosa farne. Nella prima parte, lasciata sola dal vecchio, sulla nave, la ragazza spia il suo futuro da adulta, prova ad indossare gli antichi abiti, così come fanno le bambine.
L’arco del titolo è nello stesso tempo un’arma e uno strumento musicale. Già all’inizio vediamo il vecchio inserire una cassa di risonanza tra le corde e il telaio, e suonarlo poi con l’archetto, come uno strumento tradizionale cinese. Musica uguale Tempo: battere il tempo, suonare, battere le ore. Quando si ribellerà per la prima volta, a metà film, la ragazza getterà addosso al vecchio anche la cassa di risonanza dell’arco, prima di spezzare la freccia (nella scena precedente, i due ragazzi giocavano con l’ipod e con la cassa di risonanza, l’antico e il nuovo accostati in una sola sequenza). Le frecce sono quelle del Tempo: la ragazza spezza la freccia di fronte al vecchio, quando lei conosce il ragazzo e lui si oppone – cioè quando esce dall’incanto dell’infanzia.

Il passare del Tempo è sottolineato anche dalle inquadrature della barca, sera, mattino, giorno, nuvole, neve, sole... (forse anche in coreano, come da noi, esiste il doppio significato di Tempo,? tempo meteorologico, weather, e tempo nel senso di time?). Il ciclo delle stagioni, morte e vita, il sangue e la fecondazione, rimandano anche al mito della madre Terra, la Gea della mitologia classica o l’Erda di Wagner (L’anello del Nibelungo), l’estrema consapevolezza, veggenza anche senza l’arco e l’altalena (nel finale). Erda (la Terra) è madre di Brünnhilde, che chiuderà la Tetralogia con queste parole: “Ora so...tutto mi si è aperto...” (Alles, alles, alles weiss ich nun, alles ward mir nun frei...”) : lo sguardo della ragazza nelle ultime inquadrature del film esprime lo stesso concetto, una sapienza e una veggenza ultraterrene. Un film tutto da vedere, di grande bellezza e stranezza, con immagini meravigliose e interpreti meravigliosi, e una luce particolare mai vista prima al cinema. Un film da vedere, più che da raccontare. E ci sarebbe voluto uno come Elèmire Zolla, del quale sento grande mancanza, per venire a capo di questi simboli, segni, indicazioni rituali, miti e religioni, aure ed archetipi...

8 commenti:

Christian ha detto...

Devo confessare di non aver amato questo film di Kim Ki-duk (anche se i successivi "Time" e "Soffio" si sono rivelati anche peggiori), a differenza di te ci ho davvero visto ben poco oltre la superficie. Rimpiango il Kim sanguigno e cattivo degli esordi, quello di "Bad guy" per intenderci.

Giuliano ha detto...

Il primo film di Kim che ho visto per intero è stato "L'isola", che mi ha lasciato senza fiato per la bellezza ma anche perplesso per la violenza (anche sui pesci!).
Non amo molto la violenza, invece mi interessa molto l'aspetto mitico, simbolico: purtroppo solo da dilettante, e anche un dilettante da poco. Leggevo regolarmente Elemire Zolla, quando c'era ancora e scriveva sul Corriere: ci ha lasciato libri magnifici, soprattutto "Aure" e "Archetipi".

Christian ha detto...

Sì, anch'io ho conosciuto Kim con "L'isola", un film davvero shockante. Non a caso non aveva "sfondato" da noi e i suoi lavori successivi erano stati pressoché ignorati dai distributori italiani, che poi hanno riscoperto il regista quando si è messo a fare film più "accessibili" ma anche più furbetti, esili e zen, cioè da "Primavera, estate, autunno, inverno" in poi. Per me invece quello è stato il momento in cui ho perso interesse nel suo cinema, purtroppo.

Giuliano ha detto...

curiosando il tuo blog mi è sembrato di capire che la cultura orientale la conosci molto da vicino, se è così beato te!
Io qui cerco di non dare giudizi personali, il mio giudizio personale è già nella scelta del titolo e qui cerco di mettere soltanto appunti e impressioni - però i giudizi personali vanno benissimo nei commenti.

Il mio giudizio personale su Kim (ma devo ancora vedere gli ultimi film) è l'inverso del tuo, cioè mi è sempre smbrato che i primi film giustifichino questi capolavori. E' un po' il percorso di Paradzhanov - ma bisognerebbe chiedere a Kim! Probabilmente mi manderebbe a quel paese...

Christian ha detto...

In effetti nutro un amore particolare per l'estremo oriente (in particolare per il Giappone), e dunque anche per il cinema di quelle parti.

Concordo con te che già la scelta dei film di cui scrivere è sufficiente a denotare gusti e giudizi. Io però sono onnivoro e mi piace anche vedere film che non mi piacciono! ^^

Giuliano ha detto...

Christian, sapessi quanti film ho visto! Qui faccio una scelta, bisogna per forza di cose limitarsi. Però quando scelgo Tarkovskij, Kubrick, Herzog, Wenders, Lang, Kurosawa, mi tirano sempre fuori "i frequentatori di cineforum con la pelle verdolina".
Io ho sempre lavorato su tre turni e abito in provincia, i cineforum - anche volendo - non avrei mai potuto frequentarli.
Pensa che in questi giorni sotto Natale, all'ora di cena, mi sono guardato perfino "Trilli" (cioè l'antefatto di Peter Pan, Disney) e mi è piaciuto molto: soprattutto quando c'è l'uccellino nel nido.
E poi ho rivisto Paperino con gli orsi, sarà la duecentesima volta, mi sono divertito come la prima: ma cosa vuoi dire, su Paperino? Che è bellissimo, e basta.
Questo è quello che c'è da dire su quasi tutti i film davvero belli... Su altri film invece, magari meno riusciti, c'è molto da dire.
Per esempio, mi è piaciuto "L'arco"? Non so, certo è un bello shock...

giacy.nta ha detto...

Una felicissima intuizione l'accostamento a Proserpina della protagonista. Anche il finale richiama quel mito:)

Giuliano ha detto...

Giacinta, qui ci voleva proprio Elemire Zolla... quando ripenso a questo film, un suo commento mi manca moltissimo, scena per scena.