martedì 8 febbraio 2011

Viaggio all'inizio del mondo

Viaggio all'inizio del mondo (Viagem ao princìpio do mundo, 1997). Regia di Manoel de Oliveira. Scritto da Manoel de Oliveira (traduzione francese di Jacques Parsi). Fotografia di Renato Berta. Musica originale di Emmanuel Nuñes. Con Marcello Mastroianni, Jean-Yves Gautier, Isabel de Castro, Leonor Silveira, Diogo Dòria, Cécile Sanz de Alba, Josè Pinto. Durata: 95’

Il film inizia con un cartello e una citazione di Nietzsche: “Diventare padroni del caos che siamo” (“Se rende maitre du chaos que l’on est”), ed una dedica: “alla memoria di Marcello Mastroianni”.
Si svolge per molto tempo in auto, è un film di viaggio. Una piccola troupe di quattro persone si prende una pausa nella lavorazione di un film, e parte in automobile verso l’interno del Portogallo, verso le montagne. Nelle scene del viaggio, la cinepresa è montata sul lunotto posteriore e vediamo la strada che si allontana da noi, quasi un “effetto Shining” (come nelle scene analoghe all’inizio del film di Kubrick) molto prolungato, aiutato nel rendere inquietudine dalle musiche di Emmanuel Nuñes. Ma questo è un film quieto, non c’è nulla da temere se non il passare del Tempo, e il morso del Ricordo.
Mastroianni si chiama Manoel, ed è dichiaratamente l’alter ego del regista, ai limiti dell’imitazione; ma rimane sempre Mastroianni, un attore che recita una parte. Ha il cappello di Oliveira, un bel maglione blu, cammina con una stampella. Con lui, sul sedile posteriore, Leonor Silveira (una delle fedelissime di Oliveira: qui si chiama Judite) che anche vestita da marinaretto (può permetterselo) è molto elegante
Davanti, due uomini sui trent’anni: Duarte, col pizzetto (Diogo Doria) e uno con i capelli rossi, Afonso: è lui il vero protagonista, ma lo sapremo solo nella seconda parte del viaggio.
All’inizio c’è una lunga sosta sul fiume Minho, al confine con la Spagna, con i quattro a guardare sull’altra sponda il collegio di gesuiti dove studiò Oliveira (classe 1908). Mastroianni-Manoel racconta che nella sua vita è passato attraverso monarchia, repubblica, anarchia; aggiunge riflessioni divertite e appena un po’ nostalgiche sul tempo che passa, sui ricordi, sulle donne giovani e belle, sui due fratelli del regista. La sosta dura 15 minuti, poi si parte. La seconda tappa è Valença, cittadella fortificata; ma ci si passa senza fare sosta.

Al minuto 24 incontriamo la vera star del film, la scultura artigianale che raffigura Pedro Macau, l’uomo con i baffi che regge un palo. Macau fa rima con pau, il palo; si tratta evidentemente di un posto che dice molto a Oliveira. La sosta qui dura cinque minuti, fino al minuto 30; siamo in ambiente rurale, stradine in mezzo ai campi come nei miei anni 70. Una contadina aiuta i nostri a trovare la piccola statua: ora non è più sulla strada principale, che ha cambiato percorso, ma dentro una proprietà privata. Per vederla non c’è problema, ci si arriva subito e impariamo anche noi a conoscere Pedro Macau, inginocchiato e con un palo sopra la spalla; in origine reggeva anche una pergola con la testa, così che se mollava uno cadeva l'altra. Oggi la pergola non c’è più, e anche la statua è un po’ danneggiata. Questa è la sua filastrocca: " Sono Pedro Macau / sulle spalle reggo un palo / molta gente passa di qui / chi col musetto bianco / chi col musetto nero / e nessuno mi toglie da questo tormento." La contadina dice però che è giusto che ognuno si porti i suoi pesi.
La filastrocca (che ovviamente in portoghese suona molto meglio, e ha tutte le rime e i versi al posto giusto) servirà a Oliveira come commento per tutto il film, e verrà ripresa nella sequenza finale.
Poi si riparte verso Pezo, al Grand Hotel des Bains, altro luogo del ricordo per Manoel che vi passò la prima giovinezza, i primi amori. L’Hotel è in rovina, e il parco è trascurato; Manoel mostra a Judite la panchina e l’albero che porta ancora i segni del tempo in cui lui ha vissuto lì. Ma il segno della panchina non è al posto esatto in cui dovrebbe essere: crescendo, il grande albero ha spostato anche il luogo del ricordo. “Queste rovine rappresentano il ricordo di un passato che è stato folgorante”, dice Manoel ai suoi compagni di viaggio.
E’ a questo punto che nasce la citazione di una poesia del brasiliano Catulo Searence, pochi versi in rima recitati da Diogo Duarte e tradotti in francese da Manoel-Marcello per farli capire ad Afonso, che è cresciuto a Parigi e non ha mai imparato la lingua di suo padre. La poesia racconta la storia di un indio che va a trovare la sua fidanzata, che abita sulla riva opposta del fiume; ma la trova abbracciata ad un altro. Nel tornare, con la sua barca, scopre che la sua casa e quel poco di terra che aveva sono stati spazzati via da una frana; è così che per l’uomo la perdita dell’amore e della casa si fondono in un unico ricordo, che il poeta chiama Nostalgia, “saudade”. « Nostalgia è la terra caduta... il ricordo è la terra franata / di un cuore che ha sognato.» La sosta alle terme dura quasi dieci minuti..
Al minuto 40, in macchina, prende corpo la storia di Afonso, il giovane con i capelli rossi, e conosciamo il motivo del viaggio. Manoel dice che è vissuto in mezzo a rivoluzioni e guerre, che però non lo hanno toccato: ha avuto fortuna. Lo sguardo di Manoel è quello di chi non è stato toccato dagli eventi, una situazione abbastanza comune. Chi non è stato toccato direttamente (basta anche un incidente d’auto) è portato a minimizzare, a dire che è indifferente essere stati “di qui o di là”, e anche in parole come “guerra civile” non riesce a vedere differenze fra le parti. (E’ un atteggiamento che è stato spesso rimproverato a Manoel de Oliveira, nel corso della sua lunga carriera).
Invece il padre di Afonso è emigrato in Francia, dove ha avuto una vita movimentata; però non era una questione politica, e come portoghese (cioè neutrale) non ebbe grossi problemi in Francia durante la guerra. “Un bastone sulla spalla per una vita di tormento”: così, come Pedro Macau, anche il padre di Afonso lasciò il paese, a 14 anni, “per vedere com’era il mondo di là della montagna”. Emigrò in Francia, dove è nato Afonso, ormai francese, che è qui per un film e vuole conoscere sua zia Maria, sorella del padre.
Il paese che cercano è Castro Laboreiro (è anche il nome di una razza di cani, un incrocio con il lupo, dice Duarte), lì vicino c’è il villaggio di Afonso, che è Lugar do Teso, sulle montagne di Falperra. Molto bella la sequenza della sosta sul ponte di pietra, al minuto 49; è il momento che precede l’arrivo dei quattro alla casa degli zii di Afonso.
Al minuto 56 appare dunque la zia, sparisce quasi Manoel e il film diventa tutto di Afonso. E’ una scena bellissima, che raccomando a tutti gli appassionati di cinema. La zia è interpretata da una grande attrice portoghese, Isabel de Castro, che rende molto bene il personaggio, così bene che la scena sembra vera. La donna è molto colpita dal fatto che quest’uomo che le si presenta come parente non parli neppure il portoghese. “Se è mio nipote, perché non parla la mia lingua?” dice. “Sarà mica venuto per i campi e la sua parte di eredità?” aggiunge lo zio Josè, sospettoso.

Ma, anche continuando a parlare in francese, Afonso riesce a conquistare l’affetto della zia. E’ una scena molto bella, come dicevo: una di quelle da non perdere.
“L’inizio del mondo è qui, - dice la zia, - perché è come se si fosse isolati: si ricordano di noi solo quando ci sono le guerre”. Ricorda i giovani morti nel 1914, in Francia; dice che con Salazar non ci furono guerre, ma molti giovani furono mandati nelle colonie, e che la guerra d’Africa è finita solo con il 25 aprile. Un mondo isolato, ancora antico; la zia non sopporta la tv, c’è ma lei non vuole vederla. Qui c’era il contrabbando come risorsa, ma con la CEE è finito tutto, rimane solo la pensione come fonte di reddito.
Afonso e gli zii fanno una lunga sosta nella grotta, poi al cimitero; Afonso commenta: “Non mi ero mai inginocchiato...” E Mastroianni-Manoel gli risponde: “Oggi, quasi tutti sarebbero pronti a mettersi anche a quattro zampe”. Poi ripartono, bisogna riprendere il lavoro. Sulla via del ritorno, rivediamo per un attimo la statua di Pedro Macau.
Alla fine del film Afonso è in camerino, al trucco; si mette baffoni e cappello, dice che sembra Pedro Macau e ne ripete la filastrocca. Gli altri arrivano, ridono, applaudono. Afonso dice a Manoel che anche per lui nessuno viene ad alleviarlo dal suo tormento...
Manoel: A me non resta più nessuno, se ne sono andati tutti. Vivere a lungo è un dono di Dio, ma ha il suo prezzo.
Duarte: Ma guarda un po', il nostro regista vorrebbe viaggiare gratis!
E’ una storia vera, ispirata all’attore francese Yves Afonso, che nel 1987 fece un viaggio simile. E’ una riflessione su viaggio e tempo, tempo e spazio e la loro relazione, girato come un “Apocalypse now” non tragico, lievemente nostalgico, dolce, vagamente ipnotico.
Come sempre, con Oliveira bisogna aver pazienza (vedi “Le soulier de satin”), non aver fretta e adeguarsi ai suoi ritmi; ma poi si è ripagati, e in abbondanza. Anche questo è un film fuori dall'ordinario, le immagini dicono molto di più dei dialoghi, il “non filmabile” (la strada, i boschi, le piante e la loro ombra...) prende il sopravvento sull’apparenza quotidiana. A suo modo, è un road movie, e perciò torna in mente Wim Wenders (da giovane). La storia dell'attore francese Afonso che torna dalla zia in Portogallo è vera: e sarebbe un po' bolsa, ma diventa straordinaria grazie alla regia e alla magnifica Isabel de Castro. Mastroianni, sornione, fa l'alter ego di Oliveira dopo essere stato quello di Fellini: si diverte molto, e si vede. Leonor Silveira vestita da marinaretto è molto attraente e risulta anche un po' antipatica (sembra la prima della classe), mentre Diogo Doria (un altro dei fedelissimi di Oliveira) si limita ad un ruolo di spalla che svolge benissimo. Il protagonista, Jean-Yves Gautier, appare un po’ impacciato per tutto il film ma è davvero commovente nella scena fondamentale. C’è anche una breve apparizione di Oliveira all’inizio, come autista.
PS: L’undici dicembre 2008 Manoel de Oliveira ha compiuto cent’anni, in piena attività: dai tempi di Georges Méliès fino ai nostri tempi. Auguri!

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