giovedì 6 maggio 2010

Home of the brave

Home of the brave (1986). Scritto e diretto da Laurie Anderson. Musiche di Laurie Anderson. Fotografia di John Lindley. Con Laurie Anderson, John Askew, Adrian Belew, William S. Burroughs, Richard Landry, Paula Mazur, Dolette McDonald, Won-sang Park, Janice Pendarvis, David van Tieghem. Durata: 90 minuti

“Home of the brave” è un verso dell’inno nazionale americano, che si traduce – più o meno – “la dimora dei valorosi”. E’ anche il titolo che Laurie Anderson scelse per il suo tour di concerti in forma di spettacolo teatrale all’inizio degli anni ’80, da cui poi fu tratto questo film. E’ un film che a me piace molto ancora oggi, innanzitutto per simpatia verso la Anderson, anche se molti dei temi che sviluppa appaiono oggi un po’ superati: primo fra tutti il rapporto fra la musica e il computer, che venticinque anni fa era ancora una cosa nuova, oggi molto meno.

Si nota da subito la forte influenza su questo film del musicista Philip Glass e della sua opera “Einstein on the beach”, realizzata nel 1976 con il regista teatrale Bob Wilson: due grandi nomi della musica e del teatro, ancora oggi molto attivi e presenti. E’ un’influenza che riguarda l’aspetto visivo (il film è tutto girato su un palco di tipo più teatrale che da concerto rock) che i temi trattati, primo fra tutti il sistema binario che è alla base della programmazione dei computer, ma anche – come ricorda nel finale Laurie Anderson – dei battiti del nostro cuore. Il sistema binario, in matematica, è composto di due soli numeri: l’uno e lo zero. Come dire acceso e spento, on e off, fermati e muoviti, sistole e diastole: il sistema che è alla base dei calcolatori e di tutto ciò che è computerizzato. Molto interessante anche il discorso aperto da “Language is a virus”, che se non ricordo male è ispirato alle ricerche linguistiche di Noam Chomsky.

Tutto affascinante e molto bello, e ben realizzato: il film si vede molto volentieri ancora oggi, però va detto che quando si portano in un film le novità tecnologiche, quelle parti del film sono destinate ad invecchiare presto. E’ quello che capita anche ad alcune parti dei film di Wim Wenders, che ha sempre messo nei suoi film le novità tecnologiche con grande anticipo rispetto alla loro commercializzazione (il personal computer già nei primissimi anni ’80 in “Lo stato delle cose”, il navigatore per le automobili già nel 1992 con “Fino alla fine del mondo”): il risutato è che dopo qualche anno si finisce per guardare a quelle sequenze più come curiosità che dal punto di vista narrativo. Succede anche con i telefoni cordless e cellulari di dieci o quindici anni fa, che visti oggi fanno uno strano effetto ed appaiono molto più vecchi ed obsoleti dei telefoni a disco, anche perché sono oggetti che abbiamo avuto tra le mani per pochissimi anni, al contrario di quello che è accaduto con i telefoni normali o con i televisori a tubo catodico, rimasti quasi invariati e d’uso comune per più di mezzo secolo. Questo rischio esiste soprattutto nei film a soggetto e nei documentari, molto meno in “Home of the brave” di Laurie Anderson che è in sostanza la documentazione di una serie di spettacoli e di concerti, ed è quindi ancora oggi molto goodibile.
L’inno americano, “Star spangled banner”, risale al 1814 e fu scritto dal poeta Francis Scott Key per la guerra del 1812 con gli inglesi; divenne famoso durante la guerra di secessione, a metà Ottocento. Prendo queste note da Wikipedia, che aggiunge molte altre curiosità (penso che siano cose che i bambini americani studiano a scuola, come per noi il Risorgimento): la melodia su cui è cantato l’inno è quella di una “drinking song” inglese, dunque un canto da osteria, che viene attribuita a John Stafford Smith. L’inno contiene tra i suoi versi anche la frase “In God we trust”, stampata su tutte le banconote USA; è formata da quattro strofe di otto versi ciascuna, e ogni strofa termina con i famosi versi “the land of the free and the home of the brave”, che si traduce più o meno “la Terra della libertà e la casa dei valorosi”.
Non c’è molto altro da aggiungere, mi pare; la musica è bella e gradevole, gli effetti visivi sono tutti ben fatti, l’unica cosa che mi dispiace è che la voce di bellissimo timbro di Laurie Anderson sia spesso distorta al computer, così da sembrare una voce maschile. Forse nel 1986 poteva sembrare una novità, oggi la usano tutte le trasmissioni tv, e a dir la verità era un giochino che già si poteva fare con i 78 giri e i 33 giri, all’epoca del grammofono e del microsolco (io e i miei fratelli lo facevamo spesso da bambini: è vero che si rischiava di rovinare i dischi, ma l’effetto era divertentissimo – peccato che non si possa più fare con i cd e gli mp3...).
Questo è l’elenco delle musiche presenti nel film, preso da www.imdb.com :
Scritte e cantate da Laurie Anderson: "Sharkey's Day", "Langue d'Amour", "Gravity's Angel", "Kokoku", "Smoke Rings", "White Lily", "Late Show", “Talk Normal”, “Radar”, "Sharkey's Night", "Credit Racket" .
"Excellent Birds" è scritta da Peter Gabriel e Laurie Anderson, cantata da Laurie Anderson.
"Blue Lagoon" è scritta da Laurie Anderson e Robert Coe, su testi di William Shakespeare ed Herman Melville
"Language Is A Virus” è scritta da Laurie Anderson, Roma Baran e David Van Tieghem su testi William S. Burroughs
Qualche notizia su Laurie Anderson, dal sito di Wikipedia:
Laura Phillips (Laurie) Anderson (Chicago, 5 giugno 1947) è una performance artist, musicista e scrittrice statunitense, o per sua stessa definizione, "una narratrice di storie". Iniziò a suonare il violino in tenera età e agli inizi degli anni settanta, dopo essersi laureata in scultura alla Columbia University di New York, si dedica alla Performance Art. In una delle sue prime esibizioni, che si svolgevano in strada, suonava un violino che, grazie a un registratore nascosto all'interno, produceva dei loop di suoni che si sovrapponevano alla musica da lei suonata. Durante l'esibizione indossava un paio di pattini, le cui lame erano immerse in due blocchi di ghiaccio. Con il passare del tempo il ghiaccio si scioglieva e Laurie smetteva di suonare quando non era più in grado di stare in piedi. Il violino resterà spesso al centro delle sue esibizioni e della sua creatività. Uno dei suoi violini più celebri, il Tape-bow violin, ha una testina da registratore al posto delle corde e un nastro magnetico inciso, teso sull'archetto. Il suono viene prodotto facendo scorrere l'archetto (il nastro) sul violino (la testina).
Tra i suoi lavori più celebri: United States 1-4, Mister Heartbreak, Empty Places, Stories from the Nerve Bible e Song and Stories from Moby Dick, uno spettacolo imponente ispirato al celebre romanzo di Herman Melville, nel quale suona un altro strumento di sua invenzione, il Bastone parlante (Talking stick), una sbarra metallica riempita di circuiti elettronici che riproduce suoni in base a come viene mossa o toccata. Nel 1981 acquista popolarità con il singolo O Superman, composizione minimalista che raggiunge inaspettatamente il secondo posto nelle classifiche britanniche. Il brano, divenuto celebre in Italia tra la fine degli anni ottanta e l'inizio degli anni novanta grazie ad una serie di spot pubblicitari del Ministero della Sanità per la prevenzione dell'AIDS, apre alla Anderson le porte della discografia. Nel periodo 1994-1995 ha prodotto anche un CD-ROM interattivo della durata di circa 12 ore e dal titolo Puppet Motel. Ha scritto alcune sezioni della voce relativa a New York per l'Enciclopedia Britannica.
Laurie Anderson ha collaborato con lo scrittore William Seward Burroughs, con il regista Wim Wenders e con molti musicisti fra i quali: Brian Eno, Peter Gabriel, Philip Glass, Jean Michel Jarre, Bobby McFerrin, Lou Reed, Dave Stewart, John Zorn. Nel 2001 ha ricevuto il Premio Tenco (insieme con Luis Eduardo Aute). Nel 2003 è diventata la prima artista ufficiale della NASA.
Il 12 aprile 2008 si è sposata con il suo compagno Lou Reed con una cerimonia privata a Boulder in Colorado.

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