martedì 26 ottobre 2010

Prova d'orchestra ( III )

Prova d’orchestra (1979) Scritto e diretto da Federico Fellini. Sceneggiatura di Federico Fellini, con la collaborazione di Brunello Rondi - Fotografia di: Giuseppe Rotunno - Musica: Nino Rota, diretta da Carlo Savina - Scenografia: Dante Ferretti - Costumi: Gabriella Pescucci Effetti speciali: Adriano Pischiutta. Interpreti: Baldwin Baas (il direttore d'orchestra), Clara Colosimo (l'arpista), Elisabeth Labi (la pianista), Ronaldo Bonacchi (il controfagotto), Ferdinando Villella (il violoncello), Giovanni Javarone (la tuba), David Maunsell (il primo violino), Francesco Aluigi (il secondo violino), Andy Miller (l'oboe), Sibyl Mostert (la flautista), Franco Mazzieri (la tromba), Daniele Pagani (il trombone), Luigi Uzzo (il violino), Cesare Martignoni (il clarinetto), Umberto Zuanelli (il copista), Filippo Trincia (il responsabile dell'orchestra), Claudio Ciocca (il sindacalista), Angelica Hansen e Heinz Kreuger (violini), Federico Fellini (la voce dell'intervistatore). Durata: 70'.
Avevo chiuso l’ultima delle due puntate dedicate a “Prova d’orchestra” rimandando a una citazione di Fellini presa da “Intervista sul cinema”, a cura di Giovanni Grazzini, ed. Laterza.
Mi sono reso conto, nel frattempo, che è un libro di 27 anni fa, e che oggi non è facile da trovare; io stesso l’ho recuperato per puro caso in uno dei negozi del “Libraccio” di Milano.
Per questo, penso che sia utile riproporre per intero quello che dice Fellini a proposito del finale di “Prova d’orchestra”: eccolo qui, pagine 166-168.
D. Prova d'orchestra suscitò le reazioni più disparate. Che ricordo ne hai?
R. Se dovessi tentare di ricavare un senso da alcune reazioni del pubblico che mi hanno raggiunto o che mi sono state riferite, davvero non saprei più nemmeno io da che parte cominciare per definire il mio film (smarrimento forse salutare, soprattutto come esempio da seguire). Come conciliare infatti la commozione di coloro che a fine film commentavano rammaricati: « Che peccato che il film non finisca quando gli orchestrali riprendono a suonare tutti insieme! Ma perché quello si mette improvvisamente a parlare in tedesco? Che c'entra? Che significa? », con il guizzo demenziale di quel pazzo (perché mi sembra che si debba essere irrimediabilmente pazzi per intendere il film così) che nel guardaroba di un ristorante, mentre stavo infilandomi il cappotto, mi ha sussurrato con bieca soddisfazione: «Ho visto il film. Sono con lei. Qui ci vuole lo zio Adolfo!»? Domando costernato: ma è mai possibile che il film si presti a un equivoco così mostruoso? O meglio, che cosa può voler dire, che cosa può testimoniare o rivelare una tale aberrante reazione? Che nel mondo di oggi, sotto il crollo delle sue strutture organizzate, nella cancellazione di tutti i suoi valori e punti di riferimento, ciascuno reagisce alla confusione, al malessere, al male che ci circonda, generalizzando una propria personale patologia e proiettando quindi su quanto ci sta attorno, sia esso un film o un evento, le proprie paure e i propri desideri?

Forse è proprio così, dal momento che quel film rappresentava una situazione di follia generata da una caduta nell'irrazionale e, poiché questa situazione di follia fa paura, si reagisce proponendo una forma di follia organizzata, istituzionalizzata, quella appunto di una dittatura. Ed ecco che il cerchio si chiude: se la politica non ci riguarda, noi riguardiamo la politica dalla quale veniamo totalmente condizionati; chi vuol essere protetto si deve rassegnare ad essere protetto fino in fondo.
...
Lavorare per la televisione? Vuol dire entrare in quell'oceano di immagini indistinte, accavallate, in un magma che si annulla da solo, sostituendosi anche quantitativamente alla realtà. Hai la sgradevole sensazíone di concorrere all'allagamento catastrofico di immagini che la televisione ci sottopone in ogni minuto del giorno e della notte, alla cancellazione progressiva di ogni linea di separazione fra il reale e il rappresentato, una specie di derealizzazione cui è stato condotto il nostro modo di guardare, due specchi che si fronteggiano replicandosi in infinita monotonia e vacuità. Non è questione di stile, o di estetica; non so quale dovrebbe essere il linguaggio da adottare per un film televisivo.

Ho fatto per la tv “Prova d'orchestra” col solo, grande vantaggio della leggerezza; una macchina produttiva più agile, spigliata, meno faticosa da condurre, meno aggravata da zavorre, appesantimenti, meno pachidermica, con la quale senti meno il peso della responsabilità e quindi puoi districarti con più freschezza, con maggiore spontaneità. A parte ciò non mi pare di aver fatto niente di diverso dal solito: nei miei limiti, e con le poche lire a disposizione, raccontare storie, seguire la mia naturale inclinazione a meravigliare, a esprimere quella che di volta in volta mi appare come una visione inquietante, misteriosa o affascinante della vita.
Insomma, anche se può apparirti paradossale, o ridicolo o impertinente, provocatorio, mi sembra che l'unica strada da battere per il nostro cinema, è quella di fare film, film migliori, film più intelligenti, film fatti bene, film più belli; o invece dobbiamo cominciare a rassegnarci all'idea che il cinema ormai appartiene a qualcosa che va archiviato insieme a tanti altri modelli generazionali e fra poco si dovrà dire che come l'Ottocento è stato il secolo del melodramma, il Novecento è stato il secolo del cinema?
(Federico Fellini da “Intervista sul cinema”, a cura di Giovanni Grazzini, ed. Laterza)

Un’altra cosa che si può aggiungere, come chiusura, è che in fin dei conti è soltanto la nostra pigrizia mentale che ci spinge ad associare la lingua tedesca a personaggi negativi. Il direttore d’orchestra del film di Fellini ci sta parlando in tedesco: la lingua di Bertolt Brecht, per esempio.
(o di Goethe, di Heine, di Schubert, di Beethoven, di Brahms, di Schiller, di Kafka, di Rilke, di Einstein, del dottor Schweitzer, di Siegmund Freud e di Carl Gustav Jung...).
Ecco, ripartire da Bertolt Brecht, in mezzo a queste macerie, sarebbe un’ottima idea. Per esempio:
- Io ho in mente che tutto sia incominciato dalle navi. Sempre, a memoria d'uomo, le navi avevano strisciato lungo le coste: ad un tratto se ne allontanarono e si slanciarono fuori, attraversando il mare. Sul nostro vecchio continente allora si sparse una voce: esistono nuovi continenti! E da quando le nostre navi vi approdano, i continenti ridendo dicono: il grande e temuto mare non è che un po' d'acqua. E c'è una gran voglia d'investigare le cause prime di tutto: per quale ragione un sasso, lasciato andare, cade, e gettato in alto, sale. Ogni giorno si trova qualcosa di nuovo. Perfino i centenari si fanno gridare all'orecchio dai giovani le ultime scoperte.

Molto è già stato trovato, ma quello che è ancora da trovare, è di piú. E questo significa altro lavoro per le nuove generazioni. A Siena, quand'ero giovane, una volta vidi alcuni muratori discutere per pochi minuti intorno al modo di spostare dei blocchi di granito: dopodiché, abbandonarono un metodo vecchio di mille anni per adottare una nuova disposizione di funi, piú semplice. In quel momento capii che l'evo antico era finito e cominciava la nuova era. Presto l'umanità avrà le idee chiare sul luogo in cui vive, sul corpo celeste che costituisce la sua dimora. Non le basta piú quello che sta scritto negli antichi libri. Sí: perché, dove per mille anni aveva dominato la fede, ora domina il dubbio. Tutto il mondo dice: d'accordo, sta scritto nei libri, ma lasciate un po' che vediamo noi stessi. È come se la gente si avvicinasse alle verità piú solenni e battesse loro sulla spalla; quello di cui non si era mai dubitato, oggi è posto in dubbio. E il gran risucchio d'aria chi s'è levato da tutto questo, non rispetta neppure le vesti trapunte d'oro dei principi e dei prelati-, e mette in mostra gambe grasse e gambe magre, gambe uguali alle nostre, insomma. È risultato che i cieli sono vuoti: e a questa constatazione è scoppiata una gran risata d'allegria. Ma l’acqua della terra fa girare nuove conocchie, e nei cantieri, nelle fabbriche di sartie e di vele, cinquecento mani si muovono insieme, secondo un nuovo sistema di lavoro... (...)
(Bertolt Brecht, Vita di Galileo, atto primo scena prima)

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Beh, penso proprio che Fellini ci abbia preso in pieno con questa sua affermazione: "[...] nel mondo di oggi, [...] ciascuno reagisce alla confusione, al malessere, al male che ci circonda, generalizzando una propria personale patologia e proiettando quindi su quanto ci sta attorno, sia esso un film o un evento, le proprie paure e i propri desideri".

Giuliano ha detto...

Fellini, visto oggi, dà spesso i brividi. Forse era davvero capace di vedere il futuro...