martedì 26 ottobre 2010

Fellini Casanova ( III )


Il Casanova di Federico Fellini (1976) Regia: Federico Fellini. Liberamente tratto da "Storie della mia vita" di Giacomo Casanova. Sceneggiatura: Federico Fellini, Bernardino Zapponi . Fotografia: Giuseppe Rotunno. Musica: Nino Rota. Canzoni: "La grande mouna" di Tonino Guerra, "La mantide religiosa" di Antonio Amurri, "Il cacciatore di Wurtemberg'' di Carl A. Walken, versi in dialetto veneziano di Andrea Zanzotto. Ideazione scenografica: Federico Fellini. Scenografia e costumi: Danilo Donati. Architetto: Giantito Burchiellaro, Giorgio Giovannini. Aiuto scenografo: Antonello Massimo Geleng. Arredamento: Emilio D'Andria. Effetti speciali: Adriano Pischiutta.
Con Donald Sutherland (Casanova),Tina Aumont (Henriette), Cicely Browne (marchesa d'Urfé), Carmen Scarpitta e Diane Kourys (le signore Charpillon), Clara Algranti (Marcolina), Daniela Gatti (Giselda), Margareth Clementi (Suor Maddalena), Mario Cencelli (l'entomologo), Olimpia Carlisi e Silvana Fusacchia (figlie dell'entomologo), Chesty Morgan (Barberina), Adele Angela Lojodice (la bambola meccanica), Sandra Elaine Allen (la gigantessa), Clarissa Mary Roll (Anna Maria), Alessandra Belloni (la Principessa), Marika Rivera (Astrodi), Angelica Hansen (attrice gobba), Marjorie Bell (Contessa di Waldenstein), Marie Marquet (madre di Casanova), Daniel Emilfork-Berenstein (Du Bois), Luigi Zerbinati (il Papa), Hans Van Den Hoek (Principe Del Brando), Dudley Sutton (Duca di Würtenberg), John Karlsen (Lord Tallow), Reggie Nalder (l'intendente), Vim Hiblom (Edgard), Harold Innocent (Conte di Saint-Germain), Misha Bayard (il sarto), Nicolas Smith (fratello di Casanova), Donald Hodson (capitano ungherese), Dan Van Husen (Viderol), Gabriele Carrara (Conte di Waldenstein), Marcello Di Falco (Capitano de Bernis), Sara Pasquali (la giovane teologa), Mariano Brancaccio (il ballerino), Veronica Nava (Romana), Carly Buchanan (l'aristocratica viziosa), Mario Gagliardo (Righetto, il cocchiere). Durata: 170'.


Dopo più di un’ora dall’inizio del film, quando anche la Morte volta le spalle a Casanova, smetto di pormi la domanda, la Grande Domanda: ma perché mai Fellini ha girato questo film? Perchè ha girato un Casanova, e anche un Satyricon? Io personalmente non ne sentivo il bisogno, né dell’uno né dell’altro; però di Fellini ho visto tutto, mica posso farmi mancare il Casanova (il Satyricon inve lo lascio volentieri a chi lo vuole).
Comunque, ad essere precisi non è la Morte quella che volta le spalle a Casanova, ormai deciso ad annegarsi e già ben dentro l’acqua: è una gigantessa, una donna alta sette piedi che si rivelerà veneziana e tutt’altro che cattiva, anche se vive in mezzo a nani e pirati.
Di fronte ad una nuova avventura, il Casanova disperato scompare e ritorna il vecchio, solito, avventuriero. Casanova esce dall’acqua, butta via le preoccupazioni e riprende il suo percorso.


Sulla genesi del suo Casanova, Fellini ha rilasciato molte dichiarazioni: sulle quali non bisogna fare molto conto, perchè Fellini, come Orson Welles, con le interviste e le dichiarazioni alla stampa si divertiva molto. Nelle sue interviste troviamo un po’ di tutto, cose serissime dette sbuffoneggiando e buffonerie dette con aria serissima: è difficile distinguere le une dalle altre, e del resto non è che sia importante distinguere. Per esempio, questa: «... com'era Casanova, chi lo sa? Noi giudichiamo il personaggio di un libro. E il personaggio si distacca, diventa un punto di riferimento su cui la gente proietta se stessa. A me sembra uno scrittore noioso, che ci ha parlato di un personaggio chiassoso, indisponente, vile, un cortigiano che si chiamava Casanova, un omaccione impennacchiato che puzza di sudore e di cipria, che ha l'ottusità, la prepotenza e la spocchia della caserma e della chiesa, uno che vuole sempre avere ragione. E sembra che l'abbia perché si intende di tutto. Ma in maniera talmente impersonale da darti fastidio. È uno che non ti permette nemmeno di essere ignorante, si sovrappone a tutto: è anche alto un metro e novantuno, racconta di sé che può fare l'amore otto volte di seguito e quindi anche lì la competizione diventa impossibile, traduce dal latino e dal greco, sa tutto l'Ariosto a memoria, sa di matematica, recita, fa l'attore, parla benissimo il francese, ha conosciuto Luigi XV e la Pompadour. Ma come si fa a stare insieme con uno stronzone così?». (intervista ad Aldo Tassone su "Gente" del 1 settembre 1975, da “I film di Federico Fellini”, volume curato da Claudio Fava e Aldo Viganò, ed. Gremese 1987)

 
Forse Fellini era stato consigliato a fare questi film (“sembra scritto per te!” gli avrà detto qualcuno, infine convincendolo, additando la vita di Casanova e il Petronio Arbitro), o forse il Casanova che, a metà film, dubita della sua forza, è una metafora della mancanza di ispirazione (e forse anche di motivazioni) che colpì Fellini dopo il grande successo di “La dolce vita”. E’ un fatto che dopo “Otto e mezzo” è ben raro rivedere la grande felicità espressiva di Fellini, il Fellini degli anni ’50, dolce e tragico, commovente e buffonesco. Dagli anni ’70 in su, Fellini si diverte sempre ma appare sempre frammentario (grandissimo, ma a frammenti) e molto problematico: il che è un problema anche per noi spettatori.


All’inizio del film vediamo Casanova vogare in un mare molto bello ma visibilmente di plastica: anzi, se Giorgio Strehler (nella “Tempesta” di Shakespeare, a teatro) per simulare le onde del mare usò teli di seta scelta apposta da lui in persona, qui sembra proprio di vedere i sacchi neri della spazzatura; e direi che anche questa è una metafora riuscita. Fellini ci teneva, a far sapere che questo è un Casanova che ha ben poco a che fare con il personaggio storico; ricordo ancora le discussioni e le puntualizzazioni, prima e dopo l’uscita del film, al punto da dover risistemare il titolo: che sia ben chiaro, questo è “Il Casanova di Fellini”.


Quando finalmente Fellini molla Casanova e la sua biografia, in quei momenti il film prende quota; purtroppo non succede spesso. Succede nell’episodio della Balena, pardon: “La Grande Mouna”, da cui rinascere, dove finalmente si capisce cosa voleva fare l’autore: eppure lui ce lo aveva detto con charezza, questo è il Pinocchio di Fellini.
«... Cosa avrei voluto fare con questo film? Arrivare una buona volta all'essenza ultima del cinema, a quello che secondo me è il film totale. Riuscire cioè a fare di una pellicola un quadro... se uno si mette davanti a un quadro, può averne una fruizione completa e ininterrotta. Se si mette davanti a un film, no. Nel quadro sta dentro tutto, basta guardarlo per scoprirlo. Il film è un quadro incompleto; non è lo spettatore che guarda, è il film che si fa guardare dallo spettatore, secondo tempi e ritmi estranei e imposti a chi lo contempla. L'ideale sarebbe fare un film con una sola immagine, eternamente e continuamente ricca di movimento. In Casanova avrei voluto veramente arrivarci molto vicino: un intero film fatto di quadri fissi. In fondo nel Satyricon, c'era mancato poco... Ma il bello, nel film su Casanova, era che anche il personaggio si prestava. Chi è Casanova? È un burattino che guarda il mondo con occhi di pietra. Nel suo film non c'è storia, se non quella a cui il cinema obbliga per quel minimo di convenzione che neanche il regista più geniale riuscirà mai a eliminare. Intorno a lui non succede niente, tutto quel che si vede nel film, è ciò che Casanova vede all'interno dei suoi occhi impietriti, dentro, non fuori. Per questo ho fatto l'impossibile perché solo Casanova avesse una sua lignea individualità; e degli altri personaggi, nessuno. Insomma, Casanova è Pinocchio, ma un Pinocchio che non diventa mai uomo». ( intervista di Valerio Riva a "L'Espresso" del 26 maggio 1976).
«Fellini teorico può risultare un po’ oscuro; ma le sue reazioni di fronte ai personaggi, anche ai suoi personaggi, sono sempre lampeggianti di invenzioni sottili. Si avverte benissimo, in certo senso, il divertimento che prova a precisare le cose, ed insieme il fastidio proprio del creatore, il quale è poi chiamato, con contabile pedanteria, a rendere conto di quello che ha fatto.(...)» (da “I film di Federico Fellini”, volume curato da Claudio Fava e Aldo Viganò, ed. Gremese 1987)

 
Il paragone con Pinocchio, del resto, esce spontaneo guardando il film: le citazioni sono spesso esplicite e dichiarate, e già parla chiaro la scelta di Donald Sutherland, con l’insistenza sul suo profilo e sulle sue caratteristiche fisiche (la statura, la magrezza, le gambe e le braccia molto lunghe). Sutherland è un grandissimo attore, e all’epoca era all’apice del successo e della popolarità; ma prima di lui si era fatto con insistenza il nome di Mastroianni, si parlava anche di altri attori famosi, adattissimi per il ruolo di Casanova. Invece Fellini scelse Sutherland: e io direi che lo fece proprio perché, fra tutti gli attori disponibili, era quello che più somigliava a Pinocchio.
Un Pinocchio invecchiato, viene da aggiungere; così come invecchiate sono le tante Fate Turchine che vediamo nel film. Vecchissima è la madre di Casanova, quando la incontra, a tre quarti del film, nel teatro di Dresda; l’incontro è felicissimo per entrambi, Casanova se la carica perfino sulle spalle e l’aiuta a scendere le scale; ma di sotto c’è ad attenderla una carrozza che è un simbolo chiarissimo, anche perché già molto usato al cinema (“Il carretto fantasma” di Sjöström, ma anche il Disney di “Darby O’Gill”).
(continua)


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