lunedì 25 ottobre 2010

Luci d'inverno ( II )

NATTVARDSGÄSTERNA (t.l. I comunicandi; titolo del distributore italiano: Luci d'inverno, 1962) . Scritto e diretto da Ingmar Bergman. Fotografia: Sven Nykvist. Scenografia: P. A. Lundgren. Montaggio: Ulla Ryghe. Montaggio sonoro: Stig Slodin e Brian Wiseström, Interpreti: Gunnar Björnstrand (Tomas Ericsson), Ingrid Thulin (Marta Lundberg), Max Von Sydow (Jonas Persson), Gunnel Lindblom (Karin Persson), Allan Edwall (Algot Provik), Kolbjörn Knudtsen, Olof Thurnberg, Elsa Ebbesen, Tor Borong, Betha Sannell, Helena Palmgren. Durata: 81 minuti.
- Qualche tempo fa, quando le dissi che i dolori mi toglievano il sonno e il riposo, lei mi consigliò di dedicarmi alla lettura. (...) Ho cominciato con i Vangeli, allora: prima mi facevano da sonnifero. Ma, leggi e rileggi, mi sono fatto una mia teoria sulla passione di Cristo, ci ho riflettuto sopra. (...) E’ sicuro che non sia male parlare della sofferenza di Cristo, pastore? (...) Io penso che sia inutile soffermarsi sulle sofferenze fisiche, non dovevano poi essere tanto terribili. Mi scusi, le sembrerò presuntuoso, ma nel mio piccolo, tutto sommato, fisicamente, credo di aver sofferto quanto Gesù Cristo. E la sua agonia non è stata nemmeno molto lunga: quattro ore più o meno, eh pastore? Ma ha patito una sofferenza molto più grande di quelle fisiche. Può anche darsi che mi sbagli, ma... Pensi al Getsemani, pastore: i discepoli dormivano calmi, non avevano capito niente. Neanche l’ultima cena, niente di niente. E quando arrivarono i soldati i discepoli fuggirono; e dopo Pietro lo rinnegò. Per tre anni Gesù aveva parlato a quei discepoli, e ogni giorno era stato con loro, e loro non avevano capito le sue parole. Lo abbandonarono tutti, e lui restò solo.
Pastore, quanto deve avere sofferto allora! Sapere che nessuno lo aveva capito, essere rinnegato proprio quando hai bisogno di qualcuno in cui avere fiducia... che sofferenza terribile! Già, ma doveva esserci qualcosa di peggio: l’attimo in cui Gesù fu inchiodato sulla croce, e giunto vicino alla morte gridò: « Dio, Dio mio, perché mi hai abbandonato!». Lo gridò con voce altissima, come se avesse creduto che suo padre nei cieli lo avesse abbandonato, come se avesse creduto di essersi sbagliato... Sì, Gesù fu assalito da uno strazio indicibile, prima di morire. Pastore, non sarà stato quello il momento in cui soffrì di più per il silenzio di Dio?
(il sagrestano Allan Edwall a Gunnar Björnstrand, nel finale del film)
I film di Ingmar Bergman in questo periodo, tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’70, sembrano spesso richiamare il Libro di Giobbe: un’inchiesta sulle sofferenze umane e sulle ingiustizie, e sul silenzio di Dio, che non dà risposte. Nel Libro di Giobbe, all’inizio, non è azzardato dire che Dio gioca e scherza con satana, con il male: vediamo fino a che punto Giobbe ti è fedele, dice satana, e Dio sta alla scommessa. Una “scommessa” che verrà ripresa anche da Goethe, nel Faust, e da molti altri autori e filosofi.
Ci dimentichiamo spesso della bellezza e della profondità dei nostri libri sacri, e delle nostre tradizioni; verrebbe quasi da dire che abbiamo perso la nostra grande tradizione, non solo i mistici e i filosofi, ma perfino il Libro Sacro per eccellenza, la Bibbia. Anche nel Vangelo, dove Gesù vive nel nostro mondo, assiste al bene e al male, e viene tentato da satana, il male sembra avere la vittoria finale; ma non è così, bisogna andare avanti comunque, come il sacerdote di “Luci d’inverno”, anche quando non crediamo più e abbiamo perso ogni speranza.
Come il Libro di Giobbe, Ingmar Bergman nei suoi film non dà lezioni e non ha risposte, e questa è la sua grandezza. La risposta c’è, ma ognuno di noi deve trovarla a suo modo.

“Luci d’inverno” ha molte somiglianze con “Sacrificio” di Andrej Tarkovskij, girato ventiquattro anni dopo: ed è un segnale chiarissimo da parte di Tarkovskij soprattutto la presenza di Allan Edwall, attore strano ed inquietante pur nella sua normalità fisica e nella sua bonomia, al punto da apparire spesso quasi un alter ego lucido e demoniaco del protagonista, rispetto al quale sembra conoscere qualcosa in più, un segreto nascosto che in “Sacrificio” viene svelato, in Bergman no (non in questo film). Come in “Luci d’inverno”, anche in “Sacrificio” Edwall ha un ruolo apparentemente marginale, ma è a lui che vengono assegnate le frasi destinate a fornire una chiave d’interpretazione.
La somiglianza con “Sacrificio” sta anche nella figura di Jonas, affidata a Max von Sydow, che sarebbe interessante proporre in parallelo con la parte di Erland Josephson (altro fedelissimo di Bergman) nel film di Tarkovskij; ma è un compito troppo arduo per me, per oggi sorvolo e mi riprometto di provare a pensarci più avanti. Per ora mi segno che il pastore è vedovo, ha amato moltissimo la sua prima moglie e ora non sa accettare l’amore e nemmeno l’affetto della maestra (Ingrid Thulin); anche questo lo apparenta a “Sacrificio”, la presenza di un livello “basso”, della vita quotidiana, coniugale.

“I comunicandi” (Luci d’inverno), girato da Ingmar Bergman nel 1962, è un film incredibilmente bello e “alto” che è anche una sofferenza continua, che va continuamente a girare il coltello nella piaga e sceglie la piaga che fa più male. E’ interpretato da Gunnar Björnstrand ai suoi vertici assoluti di interprete, a questi livelli forse solo nel “Rito”, almeno per il suo lato drammatico: nel lato comico ha molti più exploit, come in “Sorrisi di una notte d’estate” e in “Donne in attesa”; e nel lato comico di Björnstrand (uno dei più grandi attori nella storia del cinema) metterei anche lo scudiero del Settimo Sigillo, che ha molti tratti del clown shakespeariano, comico e drammatico nello stesso tempo. Gli altri attori sono, quasi tutti, imbruttiti e infagottati: Max von Sydow sembra avere le spalle strette, la Lindblom bellissima e quasi animalesca del Settimo Sigillo qui è una giovane madre incinta e preoccupata. Penso che sia un contrasto voluto.

In “Luci d’inverno”, rivisto oggi, ho trovato anche molti anticipi di Jarmusch (Dead man, soprattutto) e anche di Kim Ki-duk (La samaritana, ma anche molti dei suoi film più visionari); e di sicuro non è un caso, perché Ingmar Bergman è uno dei maestri di cinema più riconosciuti e che più hanno influenzato generazioni di film makers.
Da miope convinto e perseverante, ho trovato molto belle alcune battute (“non sopporto la tua miopia”, “perché mi guardi? “ da questa distanza non ti vedo senza occhiali...il tuo volto mi appare sfocato”). Avendo portato gli occhiali da vista (quasi dieci diottrie) per quasi 35 anni, prima dell’intervento con il laser, in quei momenti mi sono sentito molto vicino al persomaggio di Ingrid Thulin.
Ingmar Bergman, da “Immagini”:
La forte opposizione contro la realizzazione di Luci d'inverno cominciò già a livello di produzione. Ma il capo della Svensk Filmindustri, Carl Anders Dymling, era molto malato. Inoltre, io ero nella condizione di poter fare quel che volevo. Era il momento del salto mortale. Oppure, per usare le parole dell'attore Spegel nel Volto, «una lama di coltello tagliente che raschia via ogni impurità».
Mi sono sempre sforzato di essere attraente per il mio pubblico. Tuttavia non ero così stupido da non capire che Luci d'inverno non avrebbe avuto alcun successo di pubblico. Era una cosa deplorevole, ma necessaria. Anche per Gunnar Björnstrand fu difficile. Avevamo lavorato insieme in una lunga serie di commedie, ma la parte di Tomas Ericsson poneva dure pretese. Il fatto di dover rappresentare una persona così antipatica dava a Gunnar qualche sofferenza. Giungemmo a un punto tale che lui aveva difficoltà a ricordare le proprie battute, un fatto che non era mai accaduto prima. Inoltre aveva problemi di salute, così per colpa sua le giornate lavorative risultarono piuttosto brevi. Inoltre, quando ci trasferimmo per gli esterni in Dalecarlia, ci fermammo in una zona ai confini di Orsa Finnmark. Le giornate di novembre erano corte e la luce era estremamente favorevole e del tutto speciale.
Non ci sono immagini prese alla luce del sole. Filmammo soltanto con tempo nuvoloso o con la nebbia. Ne esce una rappresentazione dell'uomo svedese ai confini della Svezia sotto le peggiori condizioni climatiche svedesi. Inoltre il film è quasi privo, per principio, di passaggi in fortissimo. Ce n'è soltanto uno: quando Tomas e Màrta sono bloccati a un passaggio a livello e lui le rivela che è stato suo padre a volere che lui si facesse prete. Allora giunge il treno con quei vagoni-merci simili a enormi bare. E l'unico momento di forte impatto visivo e violento effetto acustico. Per il resto, il film è realizzato con grande semplicità. Tuttavia, sotto la sua semplicità c'è una complessità non del tutto facile da cogliere. Sembrerebbe una complicazione di tipo religioso, ma va più in profondità. Sta per avvenire la morte sentimentale del pastore. La sua esistenza è al di là dell'amore, cioè al di là di tutte le relazioni umane. Il suo inferno, perché realmente vive una vita d'inferno, sta in questo, che lui si rende conto della sua situazione. Insieme con la moglie ha composto una specie di poesia dal titolo «Dio è l'amore e l'amore è Dio». Lei si ammala di cancro e la sua sofferenza approfondisce la loro simbiosi. Attraverso il dolore lui prova sentimenti di tenerezza e sperimenta la realtà, quella realtà con la quale non ha mai avuto contatto. Diventa vero attraverso il proprio dolore impotente di fronte alla sofferenza della moglie. La moglie e lui sono della medesima specie, due bambini turbati che poi si sono ritrovati. Dando colore alla loro esistenza, l'hanno resa sopportabile. La loro ricerca di ideali è fragile ma autentica. Sostenuto da lei, lui si dedica a una predicazione romantica, che desta nella zona un timido risveglio religioso. La gente ascolta il pastore. Lui parla bene, e la moglie del pastore è così bella. Un vento mite soffia sulla parrocchia. Loro vanno in giro nelle case di campagna, parlando con i vecchi e cantando salmi. Si può immaginare che siano profondamente soddisfatti delle loro parti. Poi la moglie muore e la realtà di lui si spegne. (...)
(Ingmar Bergman, da “Immagini”, ed. Garzanti)

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