mercoledì 17 novembre 2010

Le radici del cielo ( II )

THE ROOTS OF HEAVEN (LE RADICI DEL CIELO, 1958) Regia: John Huston; sceneggiatura: Romain Gary, Patrick Leigh-Fermor (dal romanzo di Romain Gary); fotografia: Oswald Morris; musica: Malcolm Arnold; interpreti: Trevor Howard (Morel), Juliette Gréco (Minna), Orson Welles (Cy Sedgewick), Friedrich Ledebur (Peer Qvist), Errol Flynn (Forsythe), Paul Lukas (SaintDenis), Herbert Lom (Orsini), Gregoire Aslan (Habib), Bachir Touré (Yusef), André Luguet (il governatore), Olivier Hussenot (il barone), Eddie Albert (il fotografo Abe Fields), Edric Connor (Waitari), Pierre Dudan (maggiore Scholschner), Francis De Wolff (padre Fargue), Marc Doelnitz (De Vries), Dan Jackson (Madjumba), Maurice Cannon (Haas), Jacques Marin (Cerisot), Habib Benglia, Alain Saury, Roscoe Stallworth, Assane Fall; produzione: Darryl F. Zanuck per la 20th Century Fox; distribuzione: 20th Century Fox; origine: USA; durata: 125'.


Orson Welles è un giornalista americano, in Africa per intervistare la moglie dell’italiano Orsini, che è una famosa cacciatrice: caccia grossa, leoni ed elefanti. La loro casa (che vedremo più avanti) è piena di trofei e di animali imbalsamati.
E, dunque, il grosso e famoso giornalista americano (il personaggio di Welles si chiama Cy Sedgewick) diventa l’obiettivo del protagonista del film, il francese animalista Morel (interpretato da Leslie Howard): che per farsi prendere sul serio usa un sistema un po’ brutale, impallina il posteriore dei potenti che non lo stanno a sentire. Welles è la seconda vittima a subire questo trattamento, doloroso ma tutto sommato accettabile: invece di arrabbiarsi, si convince che Morel ha molte ragioni e decide di appoggiarlo. Tornato in patria, dagli schermi televisivi, darà ampio spazio a Morel e alla sua causa.
Pare che le “impallinazioni” siano un’invenzione di John Huston e del suo staff, e che nel romanzo originario di Romain Gary non ve ne sia traccia: Orson Welles pare divertirsi un mondo con questa trovata, il suo posteriore finisce in primissimo piano, e la successiva constatazione del doloroso fatto è recitata come se si trattasse di Shakespeare, magari il Macbeth o l’Otello: « Sono ferito... sanguino...». Assolutamente impagabile.

Nella scena successiva, Welles è sdraiato a pancia in giù e viene medicato; in questo stato riceve il governatore coloniale, che gli manifesta tutta la sua indignazione. Ma il famoso giornalista lo zittisce subito, con grande sopresa del suo interlocutore: siamo al minuto 27.
Il governatore: E’ superfluo dirle che quest’individuo verrà arrestato, e che gli sarà inflitta la punizione che si merita.
Welles (pancia in giù sul lettino, fumando un sigaro): Lasci in pace quell’uomo. Mi sono spiegato? Lo lasci stare. (...) mi è simpatico: ci sputa addosso a quanti siamo, e ha ragione. Io l’ho aspettato tutta la vita, qualcuno che mi sputasse addosso; ora finalmente qualcuno ne ha avuto il fegato. E sa una cosa? A un tratto mi diventa quasi sopportabile essere uomo. Così le do un buon consiglio: lo lasci campare.
Il governatore: (nell’andar via, indignatissimo) Vedo che la mia colonia sta diventando un immenso e popolatissimo manicomio!
Di seguito, vediamo Welles davanti alle telecamere: sposa la causa del “francese” e lo definisce “un cavaliere errante nella foresta, un moderno Robin Hood”. Alla fine, si alza dalla sedia tenendo ben visibile e il cuscino gonfiabile a ciambella, a salvaguardia della parte ferita; e il cuscino a ciambella sarà anche il raccordo con la scena successiva, in Africa: la parte di Orson Welles finisce qui.
Ci sono molti attori famosi, in questo film: quasi tutti amici di Huston. C’è Errol Flynn, in una delle sue ultime apparizioni cinematografiche; mentre il personaggio di Orsini è affidato un giovane attore che sarebbe diventato popolarissimo negli anni ’60: Herbert Lom, che nella serie della “Pantera Rosa” è il capo-nemico dell’ispettore Clouseau. Ma, soprattutto, in “Le radici del cielo” c’è Friedrich Ledebur, il Queequeg di Moby Dick. A Ledebur, che interpreta un vecchio naturalista, è affidato il monologo più importante del film, quello che ne spiega il significato più profondo: siamo al minuto 37.
Professor Qvist: Il mio dovere è proteggere tutte le specie, tutte le radici viventi che il cielo ha piantato qui sulla Terra. Ho lottato tutta la mia vita per la loro preservazione. L’uomo sta distruggendo le foreste, avvelenando gli oceani e avvelena l’aria stessa che respiriamo con le radiazioni. Gli oceani, le foreste, le specie animali e l’umanità sono le radici del cielo. Avvelenate il cielo e le sue radici, e l’albero seccherà e morirà. Le stelle spariranno e il cielo verrà distrutto: sparirà il cielo su questa terra.
Prima di passare al “terrorismo” (un terrorismo da burla, da fumetto), il protagonista di “Le radici del cielo” cerca appoggi alla sua causa in maniera più normale, da persona educata: scrive una petizione e va in giro a farla firmare. Ma ottiene una lunga serie di rifiuti, nessuno vuole prendere sul serio la difesa delle specie animali, e la caccia grossa appare ancora come un evento ben accetto: e infatti così era normale pensare, negli anni ’50.
Nei minuti iniziali, vediamo il protagonista del film, il francese Morel (interpretato da Leslie Howard) incontrare un missionario francescano suo amico e il governatore coloniale; entrambi rimandano Morel ad interessarsi alle vite umane prima che agli animali: «Sei stanco degli uomini e ti schieri con gli animali» gli dice il frate; e Morel gli risponde: «Non voglio la tua anima, voglio solo una firma su questa petizione». Il frate pone la questione in termini faustiani, ma anche animistici – (siamo pur sempre in Africa). I rimandi, qui appena accennati, sono a temi importanti: Moby Dick e Achab, il Libro di Giobbe, il Faust di Goethe...
(continua)

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