giovedì 24 febbraio 2011

Il posto delle fragole ( I )

IL POSTO DELLE FRAGOLE (Smultronstället, 1957). Scritto e diretto da Ingmar Bergman - Fotografia: Gunnar Fischer - Musiche: Erik Nordgren e Göte Lovén - Scenografia: Gittan Gustafsson - Montaggio: Oscar Rosander. Interpreti: Victor Sjöström (Isak Borg), Bibi Andersson (Sara), Ingrid Thulin (Marianne), Gunnar Björnstrand (Evald), Folke Sundquist (Anders), Björn Bjelfvenstam (Viktor), Naima Wifstrand (madre di Isak), Jullan Kindahl (Agda), Gunnar Sjöberg (ingegner Alman), Gunnel Broström (signora Alman), Gertrud Fridh (moglie di Isak), Ake Fridell (il suo amante), Max von Sidow (Akerman), Sif Ruud (la zia), Yngve Nordwall (zio Aron), Per Sjöstrand (Sigfrid), Gio Petre (Sigbritt), Gunnel Lindblom (Charlotta), Maud Hansson (Angelica), Lena Bergman (Kristina), Per Skogberg (Hagbart), Göran Lundquist (Benjamin), Eva Norée (Anna), Monica Ehrling (Birgitta), Ann-Mari Wilman (Eva Akerman), Vendela Rudbàck (Elisabeth), Helge Wullf (organizzatore della cerimonia). - Durata: 91 minuti

“Il posto delle fragole” è un altro di quei film di cui non so come iniziare a parlare, cosa dire, se dedicargli un mese o se sorvolare – che fare? Si è scritto tanto, su “Il posto delle fragole”; è uno dei pochi film di cui è ancora disponibile la sceneggiatura completa (una volta si faceva, ricavare un libro dalla sceneggiatura dei capolavori...), aggiungere qualcosa è veramente difficile.
Comincio dunque dalle citazioni che mi ero segnato nel corso del tempo, e da qualche appunto veloce che risale ormai molti anni fa; poi vedrò cosa fare.
Isak: E quale è la pena?
Alman: La pena? Non so. La solita, immagino.
Isak: La solita?
Alman: Naturalmente: la solitudine.
Isak: La solitudine?
Alman: Appunto. La solitudine.
Isak: E non c’è grazia?
Alman: Non chiedetelo a me, io non so niente di queste cose.
Si tratta della scena del “sogno dell’esame”: l’esaminatore ha il volto di Alman, l’uomo che litigava in continuazione con la moglie in una scena precedente. Questo dialogo nel “Settimo sigillo” appare così:
La morte: Ora sto per lasciarvi. Quando ci incontreremo di nuovo, il tuo tempo e quello dei tuoi compagni sarà terminato.
Il cavaliere: E allora ci dirai i tuoi segreti.
La morte: Io non ho segreti.
Il cavaliere: Dunque tu non sai niente.
La morte: Non mi serve sapere. Io non ho niente da dire.
Al risveglio, il vecchio Isak si trova accanto la nuora (Ingrid Thulin):
Marianne: Hai dormito bene?
Isak: Sì, ma ho sognato. Figurati che in questi mesi ho fatto i sogni più strani. E’ proprio curioso.
Marianne: Che cosa c’è di curioso?
Isak: E’ come se cercasi di dire qualcosa a me stesso, qualcosa che non voglio udire quando sono sveglio.
Marianne: E che cosa sarebbe?
Isak: Che sono morto, pur essendo vivo.
La nuora, stupita della risposta, gli racconta di un dialogo recente avuto col marito, che si chiama Evald ed è l’unico figlio di Isak. Padre e figlio le hanno detto la stessa cosa:
Evald: Il torto o la ragione non esistono. Ci si comporta secondo i nostri bisogni, questo lo si può leggere in un libro di seconda elementare.
Marianne: E quali sono i nostri bisogni?
Evald: Tu hai un dannato bisogno di vivere, di esistere, e di creare la vita.
Marianne: E tu?
Evald: Il mio bisogno è di essere morto. Assolutamente, completamente morto.
Questi discorsi meritano un rimando all’opera di Bruno Bettelheim, in particolare a “La fortezza vuota” che parla dell’autismo. Il libro di Bettelheim fu pubblicato solo nel 1967 (l’edizione Garzanti è del 1988) ma Bergman sembra anticiparne alcuni temi, e la cosa non stupisce perché chi ha un ricco mondo interiore (vale anche per Fellini, per Tarkovskij, per molti artisti) ha dentro di sè queste tendenze, molto vicine all’autismo pur senza avvicinarsi alla gravità dell’autismo vero e proprio.
Un articolo del Corriere della Sera, nel maggio del 1997, riportava qualcosa di molto simile alla cerimonia che si vede nel film: riguardava Norberto Bobbio, che ricevette la laurea ad honorem dall’Università di Camerino, nelle Marche, in cui aveva insegnato. Ne riporto qualche riga:
(...) Ha nostalgia il professor Bobbio? Chissà. E' mattina quando ascolta la laudatio di Luigi Ferrajoli, docente di Filosofia del diritto, e riceve la laurea dalle mani del rettore Ignazio Buti e del professor Alberto Filippi, direttore dell'Istituto di Studi storico-giuridici filosofici e politici. Poi il neo-laureato ad honorem tiene una lectio dottoralis tutta particolare. Pochi, anzi rari accenni a questioni strettamente legate agli studi. Una miniera invece di ricordi, di lampi che attraversano la sua memoria, di volti che si affacciano dal passato. Un bilancio anche affettivo, perciò viene in mente il protagonista del film bergmaniano Il posto delle fragole: anche lì un anziano e celeberrimo professore riceve un grande riconoscimento e ricostruisce frammenti dell'esistenza. Una vita prevedibile, predestinata?
Il Professore pronuncia una frase che farà certamente riflettere tanto gli agnostici quanto i credenti: "Anche se il corso della tua vita fosse predeterminato, fosse tutto stabilito in anticipo, tu non lo sai, non lo puoi sapere. Il tuo destino, posto che esista questo ente misterioso che chiamiamo destino, qualcuno c’è, ma non sai bene chi sia, che lo muove alle tue spalle senza che tu te ne accorga e sia avvisato in precedenza. Eppure, dalla fine soltanto si puo' comprendere e giudicare l'inizio".
Proprio come spiega il Professore di Ingmar Bergman. Ma chi "muove il destino" alle tue spalle? Dio, forse? Bobbio non dice una parola di piu', subito passa ad altro.
(articolo di Paolo Conti su Norberto Bobbio, dal Corriere della Sera 30.5.1997)
Il “Corriere” aggiungeva a questa frase un commento di Gianfranco Ravasi, che al tempo era direttore della Biblioteca Ambrosiana e oggi è Cardinale:
- Quale significato si deve attribuire alle parole pronunciate da Bobbio sul "destino"?
Monsignor Gianfranco Ravasi, direttore della Biblioteca Ambrosiana, è convinto che, analizzando attentamente le frasi dedicate dal filosofo al concetto, "sia possibile intravedere in filigrana il profilo di un volto. Non più quello della Moira, il fato greco, che era predeterminato meccanicamente, bensì quello della Provvidenza cristiana e biblica. In questa visione infatti da un lato c'è sicuramente la libertà dell'uomo che cerca di agire e comprendere, ma dall'altra anche un disegno, un progetto trascendente le cui frontiere sono molto piu' ampie ed estese dei piccoli disegni e progetti umani".
- Si può azzardare allora un parallelo con la concezione cristiana?
"La prospettiva da lui introdotta allude sicuramente alla libertà dell'uomo che cerca di agire e comprendere, ma allo stesso tempo a una figura personale che le grandi religioni definiscono come Dio. E' molto bella - aggiunge Ravasi - anche l'idea che la fine della vita aiuti a capire, con occhio puro e trasparente, il senso dell'intera parabola. Quando si smarriscono tutti gli interessi e i piccoli giochi dell'egoismo, compresa la superbia e l'illusione di essere signori delle cose, la nudità dell'esistenza aiuta a comprendere meglio il senso della traiettoria complessiva. Tutto cio' allude a una grande scoperta: la storia non ha una fine, ma un fine".
(dal Corriere della Sera 30 maggio 2997, come sopra)
Ma, a dire il vero, più che a Norberto Bobbio o a Ingmar Bergman stesso (che al tempo in cui fu girato il film era troppo giovane, meno di quarant’anni), il vecchio professor Borg, Isaak Borg, assomiglia molto a un’altra persona famosa: Carl Gustav Jung, che quando fu girato “Il posto delle fragole” era molto anziano ma ancora molto lucido, proprio come il vecchio professore, o come sua madre novantenne. Leggendo Jung, e facendo attenzione al tono della narrazione da lui adottato, per esempio in “Ricordi sogni e riflessioni”, o nelle varie interviste da lui rilasciate nel corso degli anni e raccolte in “Jung parla” (entrambi i libri sono pubblicati da Adelphi), l’impressione di avere davanti la stessa persona che è protagonista di “Il posto delle fragole” è molto forte – ma di questo proverò a parlare domani.

4 commenti:

Marisa ha detto...

Ecco un film da rivedere periodicamente!
Ad ogni visione si sono aggiunte nuove suggestioni e si è allargato lo spazio interno. Questo per testimoniare la forza e l'efficacia delle immagini, quando scaturiscono da un immaginario potente e creativo, come quello di Bergman in stato di grazia.
Tutto il film è permeato dalla forza dell'incontro e del colloquio con il proprio inconscio, che si intrude in un giorno di festa, il giorno del genetliaco, il festeggiamento per il cinquantesimo anno di gloriosa attività professionale, a servizio dell'umanità, trattandosi di un illustre medico.
Quale circostanza più ghiotta per l'inconscio ( notoriamente rompiscatole) per mettere in crisi e ribaltare la visione di generoso benefattore in quella di un vecchio cinico ed egoista?
E come eludere il senso di morte che tale celebrazione camuffa così orgogliosamente?
Pochi film si aprono in modo tanto drammatico. Il sogno iniziale è di una efficacia e di una verità psicologica degna del più grande analista.
Ma credo che ne parlerai nel prossimo post.

Giuliano ha detto...

A dire il vero mi sono divertito con le divagazioni, ho lasciato andare un po' l'inconscio anch'io - veramente non sapevo cosa fare con Il posto delle fragole, è uno di quei film su cui ho tirato in lungo più che ho potuto, ma adesso che comincio a vedere la fine del mio lavoro non potevo più tirarmi indietro.
Ne approfitto per ringraziare te e tutti quelli che mi hanno letto e che mi leggono, avere dei lettori come voi è fondamentale per fare un buon lavoro.
Penso che non ti sia sfuggito "The image maker", del quale ho parlato qualche giorno fa: è un film del 1999 dove Bergman si diverte a mettere in scena proprio Viktor Sjöström...

Marisa ha detto...

Sì, l'ho notato, ma non l'ho mai visto, per cui non posso dire la mia. Lo cercherò senz'altro quanto prima.
Tanto che ci sono, mi ha ovviamente intrigato il tuo accostamento a Jung vecchio (con cui effettivamente il vecchio Sjostrom ha qualche somiglianza). Sicuramente in "Sogni, ricordi, riflessioni" c'è tantissimo materiale e qualcosa si può sempre pescare (anche perchè anche Jung era medico), ma l'attività introspettiva e il confronto serrato e a volte spietato con l'incoscio di Jung non ha precedenti (nemmeno Freud è stato tanto severo con sé stesso) ed è un lavoro che è iniziato abbastanza presto, per durare poi tutta la vita.

Giuliano ha detto...

Ok, allora a domani
:-)