venerdì 11 febbraio 2011

Koyaanisqatsi

Koyaanisqatsi (1978-82) Regia di Godfrey Reggio. Musiche di Philip Glass. Fotografia: Ron Fricke Scritto da Ron Fricke, Michael Hoening, Godfrey Reggio, Alton Walpole . (87 minuti)

Ko-Yaa-Nis-Qatsi, nella lingua degli indiani Hopi, significa: 1) vita pazza 2) vita tumultuosa 3) vita sbilanciata 4) vita che si disintegra 5) uno stato di vita che chiama per un altro modo di vivere.
La profezie Hopi cantate in questo film:
« Se scaviamo cose preziose dalla terra, stiamo chiamando la catastrofe.»
« Prima del Giorno della Purificazione ci saranno ragnatele filate avanti e indietro nel cielo.»
« Un contenitore di ceneri potrebbe essere un giorno scagliato dal cielo, e potrebbe bruciare la terra e far bollire gli oceani.»
«...”Koyaanisqatsi” era come una peste scoppiata negli inferi, a cui gli Hopi cercavano di sfuggire rifugiandosi in questo mondo. Le definizioni che si leggono alla fine del film sono un mio commento, ma sono anche profondamente fedeli all’etimologia della parola. Il pubblico comprende il significato della parola? Non lo so, e forse non è importante (...)» (Godfrey Reggio, dal commento al film che si trova sul dvd ufficiale)
“Koyaanisqatsi” è un film di montaggio: detto un po’ brutalmente e con la certezza di fare un torto al gran lavoro di Godfrey Reggio e di Ron Fricke – ma dal punto di vista tecnico è la definizione giusta, perché si tratta dell’assemblaggio di una serie di immagini e filmati che mostrano la Natura così come è quando è lasciata a se stessa, e poi l’opera dell’uomo su di essa. Un rimando d’obbligo è sicuramente l’autobiografia di Alce Nero (che però non era hopi), un libro importante e di grande successo in quegli anni, e che in Italia è pubblicato da Adelphi.
Sono immagini suggestive, spesso rallentate, sempre spettacolari: e chi ha visto il film penso che se ne ricordi molte, anche a distanza di tempo. Le albe e i tramonti sul Grand Canyon, per esempio; o le immagini di distruzione; e la Luna che si mostra, in tutto il suo splendore, mentre passeggia dietro i grattacieli. E’ un film ipnotico, suggestivo, molto narrativo nonostante tutto, che ha messo alla prova più di uno spettatore ma che nonostante tutto ebbe un ottimo successo di pubblico.

Rivedendolo penso che debba molto a Kubrick, soprattutto la lunga sequenza finale della disintegrazione del razzo spaziale, con la caduta dei frammenti, ha il suo indubbio precedente nella sequenza finale di “2001 Odissea nello Spazio”, il volteggiare dell’astronave al ritmo del valzer di Johann Strauss.
Ma qui la musica non è quella di Richard o di Johann Strauss, come in Kubrick: l’autore della musica è vivente, si chiama Philip Glass, ed è da considerarsi come vero coautore del film.
Glass, americano, nato a Chicago nel 1937, tra i compositori della seconda metà del Novecento è quello che ha avuto più successo di pubblico, e questo ha dato luogo a molte polemiche. I musicisti che fanno capo a Boulez e Stockhausen gli rimproveravano di scrivere musica che non è musica, di fare capo al pubblico del rock e del pop, di basarsi su ripetizioni infinite di semplici accordi; Glass risponde (con molta cortesia) che è a Boulez e Stockhausen, pur grandi compositori, che si deve il distacco del pubblico dalla grande musica. Inoltre, Glass attinge a un repertorio che non è quello della musica occidentale, ma piuttosto alla musica indiana colta, quella dei raga e dei mantra religiosi: è questo il senso dell’apparente staticità della sua musica. Questo si deve anche all’influenza su Glass di Ravi Shankar, grande maestro della musica classica indiana, che era in America negli anni ’60 e ’70 e che Glass conobbe e frequentò per molto tempo. Ma sarebbe un discorso molto lungo e molto complesso, ed è meglio rimandarlo ad un’altra sede.
Aggiungo solo che capisco tutte le perplessità sulla musica di Glass, ma a me è sempre piaciuto molto. Il suo percorso mi sembra molto onesto e molto personale, e ho avuto la fortuna di vedere qualche frammento abbastanza lungo della sua opera “Einstein on the beach” (Einstein sulla spiaggia) messa in scena con Robert Wilson pochi anni prima di questo film, e l’ho trovata notevolissima.
Rimane da parlare della bellezza delle immagini: una bellezza ipnotica, avvolgente, come la musica di Philip Glass. In effetti, è difficile distinguere la musica dalle immagini, in Koyaanisqatsi: sembrano composte nel medesimo tempo e dalla stessa persona, e certamente non è un effetto dovuto al caso, ma cercato e voluto. E il risultato è di quelli memorabili, anche a distanza di un quarto di secolo.
Ko-Yaa-Nis-Qatsi: (from the Hopi language) 1) crazy life 2) life in turmoil 3) life out of balance 4) life disintegrating 5) a state of life that calls for another way of living.
Translation of the Hopi prophecies sung in the film:
«If we dig precious things from the land, we will invite disaster.»
«Near the Day of Purification there will be cobwebs spun back and forth in the sky.»
«A container of ashes might one day be thrown from the sky, which could burn the land and boil the oceans.»
turmoil: agitazione, tumulto, scompiglio
invite: invitare, attrarre, provocare
spun (passato di spin): filare, tessere, far ruotare.

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