giovedì 14 aprile 2011

Un eroe borghese ( II )

Un eroe borghese (1995) Regia di Michele Placido. Tratto dal libro di Corrado Stajano su Giorgio Ambrosoli. Sceneggiatura di Graziano Diana e Angelo Pasquini. Fotografia di Luca Bigazzi. Musiche: Pino Donaggio. Interpreti: Fabrizio Bentivoglio (Giorgio Ambrosoli), Michele Placido (maresciallo Silvio Novembre), Omero Antonutti (Sindona), Philippine Leroy-Beaulieu (Anna Lori, moglie di Ambrosoli), Laura Betti (dottoressa Trebbi), Giuliano Montaldo (il governatore Banca d’Italia, Paolo Baffi), Ricky Tognazzi (Sarcinelli), Laure Killing (moglie di Novembre), Daan Hugaert (il killer mafioso Aricò). Durata: 90 minuti

Aveva indagato “troppo bene” sul crack della banca di Sindona, scoprendo società occulte, legami con il potere politico e mafioso; per questo Giorgio Ambrosoli venne ucciso.
Il regista Michele Placido ripercorre la sua storia,  e il giornalista Andrea Purgatori ripercorre con noi quei fatti, così simili ad altri casi italiani
UN EROE BORGHESE
di Stefania Barile, radiocorriere tv febbraio 1995
Sono passati vent’anni da quando l’avvocato Giorgio Ambrosoli ha varcato il portone della Banca Privata Italiana di via Verdi 7 a Milano: era il curatore fallimentare per un crack di 259 miliardi. La banca apparteneva al “banchiere di Dio” Michele Sindona.  Eppure, ancora oggi, chi assiste alla ricostruzione dell’omicidio di Ambrosoli realizzata da Michele Placido nel film “Un eroe borghese” resta paralizzato sulla sedia, con l’anima in subbuglio per l’impotenza e la rabbia.
Nel corso delle proiezioni private che anticipano l’uscita del film nelle sale gli spettatori sono stati tanti, compresa la vedova e i figli dell’avvocato. Con noi era il giornalista Andrea Purgatori, del Corriere della Sera, famoso per aver seguito il caso Ustica. Nella saletta di Cinecittà, dopo che l’ultimo rullo ha diffuso la vera voce di Giorgio Ambrosoli che, al telefono, dialoga con il suo futuro killer, Joseph Aricò, Purgatori si alza di scatto e «vola» verso Paolo Flores d'Arcais e il produttore Pietro Valsecchi, suoi amici da sempre: un gruppo emozionato a cui l'esuberante Purgatori dà voce: «Mi piacerebbe chiedere a chi andrà a vedere questo film: quando torna a casa, per chi e come vota? Che tv guarda? Quale tg? Quale giornale legge?». E continua, quasi febbrile: «Mi sembra di rivedere vicende di oggi ...»
Pochi giorni dopo, come ha chiesto forse per non lasciarsi travolgere dall'emozione, Purgatori a freddo analizza il film: « E’ un'operazione coraggiosa. Non era facile: la vicenda, lontana nel tempo, è complessa: poteva essere anche noiosa. Ma Placido ha centrato l’obiettivo». Si lancia in una serie di elogi: una regia «eccellente, si sente l'amore della macchina da presa»; l'interpretazione «straordinaria, Bentivoglio è vicino al miglior Volonté». Loda la «grande tradizione del cinema italiano d'impegno politico» rifacendo un po' di storia, da Salvatore Giuliano «alla grande metafora» di Un cittadino al di sopra di ogni sospetto, felice che la strada si sia riaperta.
Purgatori è lapidario: «Ambrosoli era un uomo con il senso dello Stato, a cui ha sacrificato la vita consapevolmente».
Quello Stato se lo trovava di fronte con le sortite del sottosegretario alla Presidenza, Franco Evangelisti, e con il piano di salvataggio per la banca, messo a punto dall'allora ministro del Tesoro, il piduista Gaetano Stammati. Purgatori è naturalmente preso dalla vicenda: «Scoperchiando tutte le pentole dell'impero Sindona, ha scoperto una cosa che non è mai finita: il continuo movimento di capitali che avviene attraverso canali sempre sporchi. Un movimento illegale che produce altre illegalità.».

Perché «quel “banchiere di Dio", considerato da Andreotti un genio della finanza, osannato da alcuni politici come salvatore della lira, non solo fa uccidere Ambrosoli, ma s'inventa anche un rapimento finto, sparandosi addirittura a una gamba per avvalorarlo; ed è piduista, legato alla mafia... ce le ha proprio tutte. Un collettore attraverso cui è passato il peggio degli ultimi quarant'anni».
Placido ha messo in evidenza soprattutto la famiglia di Ambrosoli, il suo legame con il maresciallo Novembre, l'integrità dell'eroe borghese, «ma fa emergere, ben chiari, quei legami tra mafia e politica, e quello Stato che queste operazioni le ha sempre condotte o se n'è servito o comunque ci ha campato sopra... L'intreccio dei poteri è stato sempre attraversato dai servizi segreti. E nell'affare Sindona sono stati fondamentali. Che possiamo dire? Che Sindona, come i vertici dei servizi, erano piduisti? Che anche Calvi era della P2? Che quella che oggi viene considerata non un'associazione a delinquere, ma solo un club di signori che voleva fare affari, conteneva al suo interno i gangli fondamentali per il controllo del potere politico, militare, giudiziario, di intelligence e d'informazione? ».
La lezione di Ambrosoli non è stata capace di invertire una tragica tendenza: altri , giudici o investigatori, che hanno messo le mani su quell'intreccio di poteri, sono stati uccisi.
«I giornali non avevano ben capito che entrare nell'impero di Sindona equivaleva a calarsi nei rapporti tra finanza, mafia, politica, massoneria. Solo dopo l'omicidio Ambrosoli è stato fatto un lavoro giornalistico investigativo ... ».
Sei anni dopo quel settembre 1974, quando Ambrosoli entrò nella Banca Privata, l'interesse sul crack era scemato, «anche se era ed è rimasto un mistero: la famosa lista dei cinquecento correntisti "eccellenti" avvertiti in tempo, un giorno o due prima del crack, perché potessero recuperare i loro soldi. Se n'è saputo pochissimo... mi domando quanti giornali avrebbero avuto interesse a mettere le mani sulla lista, scoprendo magari che editori o politici erano coinvolti con Sindona ... ».
Nel racconto di Placido il più evidente è il rapporto fra Andreotti e Sindona: «Ed è vero, è tutto sui giornali, nelle dichiarazioni di Andreotti, è nella “porcata" nei confronti di Paolo Baffi, allora governatore della Banca d'Italia, e del suo vice Mario Sarcinelli: oggi il primo è morto; il secondo, dopo l'arresto che bloccò il suo “aiuto” ad Ambrosoli, è un direttore del Tesoro. In quella "porcata" c'è un marchio politico. E Andreotti era allora il riferimento politico di questo Paese».
La lezione di quel crack ha perlomeno fatto capire come esercitare i controlli sulle banche private? «I meccanismi di controllo ci sono sempre stati! Ecco perché discutiamo sull'autonomia della Banca d'Italia: proprio perché ha il potere di esercitare i controlli, entrando in ogni banca! Ed ecco il motivo di tante discussioni sulle poltrone ... ».
Il caso Sindona fu clamoroso per dimensioni e agganci con la politica... «Sì, ma la morte di Ambrosoli non ha impedito che le banche private possano essere serbatoi di affari sporchi. I tempi sono cambiati, è vero. Ma è anche vero che le sfilate dei finanzieri a Mani Pulite lasciano immaginare che Sindona sia ancora un modello. Del resto, l'anno scorso abbiamo sentito parlare di soldi transitati attraverso le casse vaticane dello Ior: erano i miliardi dell'affare Enimont. Proprio come dieci e vent'anni prima ... » .
A caldo, Purgatori ha ricordato ai suoi amici il parallelismo fra Sindona e Mandalari. «Nonostante le intercettazioni telefoniche, i politici negano di conoscerlo. Anche quando parliamo di Mandalari, commercialista di buona parte della Cupola, parliamo di politica, di affari, di mafia, di appalti... Non è che ci raccontiamo sempre la stessa storia?».
La trama
Il 29 settembre 1994, mentre davanti alla Banca Privata Italiana di Michele Sindona si accalca una folla inferocita che reclama i propri risparmi, entra nell’istituto di credito un uomo elegante e deciso: è l’avvocato Ambrosoli, commissario liquidatore della Banca, sposato e padre di tre figli, noto nell’ambiente per la sua serietà. Sindona segue lo svolgersi degli avvenimenti dalla suite dell’hotel Pierre di New York.
Ambrosoli pian piano si rende conto degli spregiudicati giochi finanziari del banchiere: un crescendo di società estere, rapporti poco chiari con politici, mafiosi e altri nomi eccellenti. Con lui collabora il maresciallo Novembre, che diventa suo fidatissimo amico.
Ambrosoli trova aiuto anche negli ambienti della Banca d’Italia (Mario Sarcinelli, che passerò in seguito seri guai per il suo aiuto ad Ambrosoli), ma Sindona è potente e protetto. Cominciano inquietanti telefonate; una voce dall’accento siculo-americano dà “consigli” all’avvocato. E’ l’inizio della fine.
di Stefania Barile, radiocorriere tv febbraio 1995
(continua)

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