mercoledì 8 giugno 2011

Bergman, Passione ( II )

PASSIONE (En Passion, t.l. “Una passione, 1968). Scritto e diretto da Ingmar Bergman. Fotografia: Sven Nykvist (colori) - Scenografia: P.A. Lundgren. Interpreti: Max von Sydow (Andreas Winkelmann), Liv Ullmann (Anna Fromm), Bibi Andersson (Eva Vergérus), Erland Josephson (Elis Vergérus), Erik Hell (Johan Andersson); e poi Sigge Fürst (Verner), Svea Holst (sua moglie), Annika Kronberg (Katarina), Hjördis Pettersson (sorella di Johan), Lars-Owe Carlberg e Brian Wikström (poliziotti), Barbro Hiort af Ornäs, Malin Ek, Britta Brunius, Brita Oberg, Marianne Karlbeck (donne nella sequenza del sogno), Ingmar Bergman (voce fuori campo) Durata: 101 minuti

“Passione” comincia con le pecore, e con Max von Sydow che ripara le tegole del tetto, con la pipa in bocca, presentato da una voce fuori campo (nell’originale è la voce di Bergman), sui panorami dell’isola svedese di Farö. Molto belli i colori, caldi e naturali, a ricreare la luce naturale.
Il secondo personaggio è Johan, un vecchio che tira un carretto a mano: sul carretto ha caricato la legna che ha appena raccolto. Johan (interpretato da Erik Hell, il giudice di “Il rito”) è un vicino di casa del protagonista, col quale è in ottimi rapporti; entrambi vivono da soli.
Il terzo personaggio ad entrare in scena (l’interprete è Liv Ullmann) è una donna sui trent’anni che avanza sostenendosi ad una stampella. Ha bisogno di telefonare, e chiede ad Andreas (Max von Sydow) se può aiutarla. Andreas sospende per un attimo i suoi lavori, e la invita ad entrare; la donna è molto attraente e quasi suo malgrado l’uomo si incuriosisce e si ferma ad ascoltare la conversazione, fingendo però di uscire. Nell’andarsene, la donna dimentica la sua borsetta.
Qui c’è la prima delle interviste agli attori protagoniste, quattro interviste volute da Bergman e inserite nella struttura del film con la funzione quasi di pausa o di cornice. In queste interviste, precedute da un ciak, gli attori (struccati e in abiti quotidiani) parlano dei loro personaggi: il primo è per l’appunto Max von Sydow, che parla di Andreas ed esprime il suo pensiero in proposito.
La mia impressione è che queste interviste non dicano molto, e abbiano l’unica funzione di spezzare il racconto, qualcosa come un estraniamento, un raccontare in terza persona per non sentirsi troppo coinvolti; però è difficile dire qualcosa in proposito, i livelli di lettura di “Passione” sono molti e tutt’altro che facili.
L’azione prosegue con Andreas (Max von Sydow) che apre la borsetta e legge una lettera che vi è contenuta: la scena ricorda molto quella analoga di “Persona”, dove è Bibi Andersson a leggere una lettera lasciata aperta da Liv Ullmann. Dopo averla letta, Andreas ripone la lettera nella borsetta e va a riportare il tutto alla sua legittima proprietaria: lo vediamo alla sera mentre entra nella villa dove abitano tre persone, un architetto famoso che si chiama Elis Vergerus (interpretato da Erland Josephson) con sua moglie Eva (Bibi Andersson), più la proprietaria della borsa, che si chiama Anna ed è interpretata da Liv Ullmann, come avevamo già visto.
Andreas fa amicizia con queste persone e lo vediamo invitato a cena, un tavolo per quattro persone che è quasi identico a quello di “Scene da un matrimonio” (1973): l’unica differenza è Max von Sydow che verrà sostituito da Jan Malmsjö, futuro interprete dal vescovo in “Fanny e Alexander”. Si può far notare che anche quel vescovo si chiama Vergérus: Vergerus è infatti il nome di molti “cattivi” bergmaniani. Questo Vergerus di “Passione” somiglia più a quello di “L’uovo del serpente” che al vescovo patrigno di Fanny e di Alexander, e lo dico pensando alla scena dell’archivio: non è un personaggio cattivo, ma ha comunque molti aspetti sgradevoli, inquisitori: l’atteggiamento di fondo è un “bonario disprezzo” (sono le parole che verranno usate in un monologo di Andreas, verso la fine del film) verso il suo prossimo, che è ben disposto ad aiutare ma rimanendo ben chiaro chi sta sopra e chi sta sotto.
A tavola (siamo al minuto 18) Bibi Andersson parla dell’esistenza di Dio, come in molti altri film di Bergman, ma lo fa in tono leggero e superficiale, da conversazione. E’ comunque un particolare che va sottolineato.
Di seguito, sempre a tavola, il personaggio di Erland Josephson (un celebre architetto) dice che deve partire per l’Italia dove gli hanno assegnato il progetto per un centro culturale. Le parole che dice, “Milano è una città interessante ma piena di gente mediocre e insulsa”, sono state tagliate nell’edizione italiana.
La mattina dopo, vediamo Andreas che salva un cagnolino che stava per finire impiccato: è il primo episodio di una serie di crudeltà verso gli animali compiuti da uno sconosciuto, attivamente ricercato dalla polizia. Episodi simili, molto cruenti e mostrati da Bergman con dettagli molto espliciti, sono successi di recente anche nell’arco alpino, da noi e in Svizzera, e quindi sono probabilmente tratti da episodi di cronaca di cui Bergman era venuto a conoscenza. Il cagnolino è un cucciolo di bassotto, come quello che avevamo visto far compagnia ad Harriet Andersson in “Una lezione d’amore” (1954).
Andreas accoglie il cucciolo in casa sua, poi va a completare il suo giro, e si trova davanti a Bibi Andersson che dorme in macchina, in aperta campagna, in una scena molto bella ma anche molto strana. Nella mitologia nordica, l’episodio rimanda a Sigfrido con Brunilde: ma il contesto è completamente diverso, il paragone è immediato e molto suggestivo, ma anche queste immagini meriterebbero un esame più approfondito.
(continua)

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