martedì 23 agosto 2011

I fratelli Coen ( III )

Fargo
E’ bello e un po’ strano: i titoli di testa dicono che è basato su una storia vera. C’è un rapimento, due loschi killer e rapitori che sarebbero due buffi (stile Mamma ho perso l’aereo) se non fosse per le atrocità che commettono; il suocero-padre-vendicatore, vero duro vendicatore, che in altri film avrebbe fatto strage e che qui muore in un minuto, da stupido (vedi Un tranquillo weekend di paura, Burt Reynolds); c’è, soprattutto, Frances McDormand, poliziotta incinta al sesto mese, che risolve tutto con calma e buon senso, il buon senso che ne farà una brava mamma e un’ottima donna di casa. C’è, ancora, un paesaggio freddo e coperto di neve che apparenta stranamente questo film a “Il dolce domani” di Egoyan. (gennaio 1999)
Il pazzo biondo, Peter Stormare, è svedese e ha recitato l’Amleto in teatro con Bergman. Visto in originale, su dvd, l’accento del posto e le interiezioni sono impagabili, peccato non poterle capire a fondo e apprezzarne ogni sfumatura come facciamo con Totò, con Tino Scotti, con Sordi, con Troisi, con i siciliani, i sardi, i toscani, i veneti, i piemontesi e con tutti i dialetti e gli accenti di casa nostra. (giugno 2011)
Un racconto di Ethan Coen
...mi sentii toccare il braccio da qualcosa di umido e morbido. Era solo l’infermiera, che mi disinfettava il braccio con un batuffolo di cotone. (...) L’infermiera sembrava spaventata. Perché? Non le avrei mai fatto del male, non avrei permesso a nessuno di farle del male. Aveva un viso morbido, lunghi riccioli biondi. Quando venne a sedersi per tenermi fermo il braccio le guardai sotto il vestito. Aveva cosce sode e accoglienti, dove un uomo avrebbe potuto costruire una vita. La guardai e scoppiai a piangere. Piansi in silenzio. Volevano rispedirmi nel sogno. Io, invece, volevo restare lì con lei. (...)
Ethan Coen, da “I cancelli dell’Eden”, ed. Einaudi, da L’espresso 18.2.1999
Mi ha ricordato Platonov:
- Accidenti a te, mi hai svegliato ! - esclamò Gopner con irritazione - adesso mi annoierò di nuovo !
- Il fiume corre, il vento soffia, i pesci nuotano, e tu stai qui ad arrugginire. - attaccò Luj con voce calma e modulata - Va' in qualche posto, il vento ti metterà dentro un'anima e imparerai qualcosa.
(Andrej Platonov, Cevengur, pag.253, ma anche altrove )
Il resto del racconto ha i difetti dei film dei Coen: troppa macelleria. I pregi, qualcosa c’è. (marzo 1999)
Non è un paese per vecchi
E’ un incrocio fra Mezzogiorno di fuoco e i cartoons Warner, Wyle Coyote e Bugs Bunny, con armi fantasiose costruite all’istante, candelotti di dinamite (e anche peggio) sempre a portata di mano e che saltano fuori inaspettati, manca solo di vedere il marchio ACME. Per High Noon, ci metto anche la visita al vecchio sceriffo. E’ evidente, al di là dell’aspetto ludico (ai Coen piace giocare con il cinema) che Javier Bardem è la personificazione della Morte, ma anche del Caso, del Destino: il suo giocare a testa o croce è molto esplicito, in questo senso. Un thriller metafisico, preso da un romanzo di Cormac Mac Carthy, che non so se leggerò mai (ho in mano Kafka in questi giorni, ed è molto meglio) (Il castello, ispirato da Ferreri). Rimane comunque un capolavoro, i Coen sono grandissimi e con loro gli attori sono sempre al meglio, sembrano quasi non recitare. Non conoscevo Josh Brolin, molto bravo.
Mi è piaciuto molto, ed è tipico dei Coen, il narrare per elisione, quasi come se fossero gli eredi di Bresson: nelle prime scene vediamo tutti i dettagli degli omicidi efferati; poi, da metà film in avanti, quando ci si aspetterebbe un crescendo di orrori ed effettacci, basta. Da Woody Harrelson (compreso) in avanti, non si vede più un morto ammazzato: e ce ne sono tanti, protagonisti compresi. Il finale è dedicato al vecchio sceriffo in pensione; la moglie di Josh Brolin dice che non vuole giocare a testa o croce (“perchè sei tu che decidi, non è la sorte”) e poi si vede solo Bardem uscire dalla casa, non una goccia di sangue, nient’altro. Chissà quanta gente si è incazzata, con questo finale: ma i Coen ci stanno dicendo altro, vorrebbero – come fanno i migliori, Bergman e Bresson in testa – che noi provassimo a pensare.
Bardem non muore: non può morire, è la Morte in persona. Si rimette insieme il braccio rotto e va via, la morte è eterna, il destino non ha una fine. La morte va in vacanza, alle volte: ma non in questo film. (la valigia è la stessa di Fargo?)
(settembre 2010)
- Javier Bardem nel film ha uno straordinario caschetto: dove avete preso questa pettinatura?
Ethan: Quando Bardem si è visto allo specchio, voleva lasciare il set; ma la storia è ambientata negli anni ’80 e lo scenografo ha fatto delle ricerche, ci ha fatto vedere le foto di un bordello del Texas in cui c’era un tizio vestito e pettinato in quel modo. Abbiamo pensato che, come psicopatico, fosse perfetto.
Joel: E magari ora questo tizio sta per andare a vedere il nostro film: speriamo che non venga a cercarci...Siamo convinti che anche l’acconciatura parli della vita interiore di un personaggio; ed è più facile, dal punto di vista cinematografico, mostrare una pettinatura che non l’inconscio. (...)
Ethan: ...il cinema come operazione culturale è un pensiero estraneo al nostro modo di concepire questo lavoro. Realisticamente, i nostri film non sono finanziati da grandi società, e quindi per noi il ragionamento da fare è: quale genere di prodotto possiamo ottenere in base al tipo di film che vogliamo fare (...)
intervista ai fratelli Coen, dal Venerdì di Repubblica 30 giugno 2007
(continua)

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