venerdì 19 agosto 2011

Robert Bresson ( III )

Mouchette
Forse il film più disperato tra quelli di Bresson, senza speranza. Il soggetto viene da un racconto di Bernanos, come nel “Diario di un curato di campagna”, e l’ambientazione è quasi identica al ”Balthazar”. Mouchette è un’adolescente, di famiglia molto povera; sua madre ha appena partorito ed è molto debole, non riesce ad alzarsi dal letto. La ragazza ha già un altro fratello, e un padre duro e manesco che le impedisce ogni contatto al di fuori della famiglia. In questo contesto, l’azione parte dal dissidio fra due uomini del paese, il guardacaccia Mathieu e il bracconiere Arsène, divisi anche dall’interesse per Louisa, una giovane donna del paese. Mouchette è testimone di un litigio notturno fra i due, nel bosco, che sembrerebbe terminare con la morte del guardacaccia.  Questo è l’inizio dell’azione, detto molto in breve: il film comincia proprio con il bracconiere che pone i suoi lacci e le tagliole, e con il guardacaccia che libera un uccello rimasto imprigionato. Una sequenza quasi documentaria, molto dettagliata, che deve molto a Jean Renoir e a “La regola del gioco”. Un’altra citazione diretta del film di Renoir avverrà più avanti, verso la fine, con la battuta di caccia e la lepre morente che viene osservata da Mouchette.
Altre note sparse: 1) Uno zoccolo perduto e ritrovato, gli zoccoli rumorosi a scuola, la “diversità” dei poveri: un mondo che, purtroppo per noi, sta già ritornando. 2) Mouchette non canta in coro, e per questo viene ripresa dall’insegnante; la canzone del coro palra di Cristoforo Colombo e della speranza, del continuare il cammino nonostante tutto. Mouchette la canterà più avanti nel film, da sola, nella notte davanti ad Arsène. 3) il macinino da caffè, che è anche un mio ricordo personale. 4) lunga sequenza all’autoscontro e alle giostre 5) lungo notturno, con il culmine nella crisi epilettica di Arsène. Una scena simile, quella con Klossowski, in Balthazar. 6) ancora il problema dell’alcolismo, che Bernanos aveva già messo al centro di “Diario di un curato di campagna”. 7) Nel finale Mouchette sembra pensare, come accade nel Woyzeck, che il peccato si veda sulle labbra; comunque sia, le donne del paese capiscono al volo che cosa è successo. 8) In paese comunque tentano di aiutarla. 9) La donna anziana le parla delle religioni antiche, del rapporto con la morte 10) è un film quasi muto, qualche parola comunque Mouchette la dice. 11) la barista bionda Louisa, all’origine senza volerlo del diverbio fra i due uomini. E’ una donna molto bella, ma oggi non siamo più abituati a vedere donne giovani così dimesse nel portamento. La bellezza è molto spesso, per l’appunto, questione di portamento; ma quando ancora la tv non faceva ancora da modello questo tipo di donna era molto comune. 12) Nei titoli di testa e di coda, frammenti da uno dei Magnificat di Claudio Monteverdi; il nome del musicista è scritto in una delle tante grafie a noi arrivate dai documenti dell’epoca, Monteverde. Pare che Claudio Monteverdi si firmasse proprio così, Monteverde. 13) l’attore che interpreta Arsène, Jean Claude Guilbert, era già nel “Balthazar”, in una parte molto simile.
(luglio 2011)
Une femme douce
Non mi sembra un Bresson dei più riusciti. Forse è l’effetto del tempo che passa: il suicidio con la sedia che dondola e la sciarpa che vola è stato più volte rifatto (copiato?) in seguito, anche da registi più dozzinali. Bellissima Dominique Sanda, mentre il protagonista maschile è espressivo come un pezzo di legno. Molto interessante l’Amleto che vedono in teatro, e mi è piaciuto quando lei dice, alla fine, “con tutto questo gridare... dunque non hanno letto cosa dice Amleto a proposito del teatro e della recitazione” Rimane comunque un film lento e funereo, anche se non mi sono né annoiato né depresso nel vederlo. Qui la Sanda appare più piena, più dolce, rispetto ad altri film. (giugno 1996)
«Nel cinema non bisogna preoccuparsi di fare belle immagini, ma immagini necessarie»
(Bresson a 89 anni, cds 25.9.1996)
«Nell’eros tutto ciò che non è bello è pornografico.»
Robert Bresson, citato sull’Espresso 19.3.1998
Bresson riceve la benedizione papale
Roma. Robert Bresson, il novantaduenne maestro del cinema francese, ha ricevuto la benedizione apostolica di Giovanni Paolo II. Lo rende noto la “Audiovisivi San Paolo”, specificando che è la prima volta che un così alto riconoscimento viene attribuito a un uomo di cinema. La benedizione papale vuole riconoscere pubblicamente gli alti valori morali delle cinematografia bressoniana. Il regista è lontano dal mondo del cinema dal 1983. (Corriere della Sera, 14 maggio 1999, trafiletto non firmato.)
(le ultime due immagini da "Un condannato a morte è fuggito" e da "Giovanna d'Arco", due film che non vedo da tempo immemorabile)

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