venerdì 16 settembre 2011

I cinque volti dell'assassino

THE LIST OF ADRIAN MESSENGER (I CINQUE VOLTI DELL'ASSASSINO, 1963) Regia: John Huston; sceneggiatura: Anthony Veiller (dal romanzo omonimo di Philip MacDonald); fotografia: Joseph MacDonald, Ted Scaife (per le sequenze girate in Europa); musica: Jerry Goldsmith; interpreti: George C. Scott (Anthony Gethryn), Jacques Roux (Raoul Le Borg), Kirk Douglas (George Bruttenholm), Dana Wynter (Lady Jocelyn Bruttenholm), Clive Brook (Marchese di Gleneyre), Herbert Marshall (Sir Wilfrid Lucas) Bernard Achard (ispettore Pike), Marcel Dalio (Karoudijan), Gladys Cooper (signora Karoudijan), Walter Tony Huston (Derek), Richard D. Long (Castairs), John Merival (Adrian Messenger), Anita Sharpe Bolster (bottegaia), Noel Purcell (agricoltore), John Huston (un cavaliere), Tony Curtis (l'uomo dell'organetto), Burt Lancaster (la vecchia), Robert Mitchum (John Slattery), Frank Sinatra (lo zingaro). Durata: 97'.

Questo film di John Huston è sempre stato uno dei miei preferiti, fin da bambino: non ci capivo niente ma mi interessava molto. Il messaggio da ricostruire e decrittare, trascritto a frammenti su una lavagna, è uno dei grandi classici dei romanzi e dei film d’avventura; la campagna inglese con la caccia alla volpe e la sua perfetta ricostruzione erano decisamente meglio di qualsiasi altra cosa del genere avessi mai visto; e, soprattutto, cosa significavano quelle maschere? Perché prendere tutti quei volti famosi e farli recitare con un mascherone incollato alla faccia?
Purtroppo non riesco a rivedere “The list of Adrian Messenger” da molti anni; me lo ricordo perfettamente ma mi piacerebbe vederlo bene, in edizione originale con i sottotitoli, purtroppo il film è scomparso dalla programmazione di tutte le tv e in Italia, che io sappia, non è mai stato pubblicato su dvd. Non mi resta che rivolgermi a internet, e prima o poi lo farò. Per intanto, riporto qui un mio post già pubblicato su un altro blog qualche anno fa, e soprattutto riporto qui le pagine che gli dedica Morando Morandini, come al solito perfette.
E' un film curioso, giocato su più livelli, molto inglese nell'ambientazione e nella recitazione. Il primo livello è quello del giallo: chi è il misterioso assassino che elimina uno alla volta i nomi segnati su una lista? Un secondo livello è dato dalla presenza in piccole parti di attori famosi, però nascosti sotto vistosi mascheramenti. E tutto inglese è il gioco di parole che sta dietro alla soluzione del giallo: i tre cognomi, Bruttenholm / Broom / Brougham, che gli inglesi pronunciano tutti allo stesso modo, e cioè (più o meno) "bruum".
Straordinaria la sequenza della caccia alla volpe: sembra Jean Renoir e di sicuro "La regola del gioco" è ben presente in questo film. Che è in bilico tra "film vero" e bizzarria, quasi uno scherzo o una parabola, ed è uno dei miei preferiti. "Il male esiste" dice alla fine il cattivo George Brougham, cioè Kirk Douglas: il male esiste e ha molte facce. Si nasconde, si traveste, e noi non lo vediamo né lo riconosciamo quando lo incontriamo per caso (il protagonista, Adrian Messenger, viene ucciso con una bomba sull'aereo, causando altre vittime che però sono del tutto innocenti...).
Detto questo, Huston è in gran forma, si diverte e dirige in modo esemplare. Attori ottimi, su tutti George C. Scott, elegante come mai più sarà, l'attore francese Jacques Roux, Dana Wynter, e il bambino ultimo erede dei Broom. Da antologia anche l'apparizione dello zingaro che porta il cavallo, nella nebbia (è Frank Sinatra). notevoli le sequenze documentarie sulla caccia alla volpe. Il cavallo si chiama Avatar: è un termine della mitologia hindu, ed è un regalo di Adrian Messenger al bambino...Anche questo è un dettaglio sul quale bisognerebbe indagare. Questo film si presenta come un gioco, uno scherzo, ma in realtà c'è qualcosa sotto che lascia inquieti, alla fine.
Per esempio, i mascheroni sono goffi e fanno un po' sorridere, ma: 1) il tempo passa, anche per i trucchi e gli effetti speciali; 2) è giusto che si vedano le maschere e che ci si accorga subito che sono maschere: Narra una tradizione ebraica che un profeta passò accanto ad una rete tesa; un uccello che stava lì accanto gli disse: "Profeta del Signore, in vita tua hai mai visto un uomo stupido come quello che ha teso questa rete per cacciare me, che la vedo?". Il profeta se ne andò. Al suo ritorno vide l'uccello preso nella rete. " E' strano! - esclamò. - Non eri tu che un attimo fa dicevi così e così?" "Profeta, - replicò l'uccello - quando viene l'ora segnata non abbiamo più occhi né orecchie".(da "Racconti brevi e straordinari" a cura di J.L.Borges e Adolfo Bioy Casares)
Posso ancora aggiungere che, al di là delle esigenze produttive e dei costi, forse i registi degli anni 50-60 (quelli grandi) sapevano scegliere tra colore e bianconero a fini poetici: il "Messenger" è del 1963 ma è in bianco e nero; "Moby Dick" è del 1956 ma è a colori. A colorazioni invertite, i due film sarebbero molto meno belli.
Morando Morandini, da “Il Castoro Cinema”:
Non sono pochi i critici che, come Raymond Durgnat, vedono in Huston un cineasta bifronte, una sorta di Dr. Jekyll-Mr. Hyde, « il pensieroso, fondamentalmente piuttosto ascetico intellettuale medio (middle-brow) » e, « il ruvido estroverso per il quale la vita è più appassionante durante le risse, le partite di caccia e le solenni bevute».
Accettata questa partizione, si potrebbe tentare l'esercizio di dividere i film di Huston in due categorie: quelli da assegnare a Jekyll, quelli da attribuire a Hyde. Ma le due facce di Huston si elidono a vicenda oppure, almeno in qualche caso, convivono, si fondono in armonia? In questo caso le categorie diventerebbero tre. Non c'è dubbio, comunque, che The List of Adrian Messenger (1963) appartiene a Huston-Hyde che, dopo l'impegno culturale di “Freud”, si prende una vacanza per divertire, divertendosi, e per il piacere di filmare amici, cani e cavalli e una delle più strepitose cacce alla volpe nella storia del cinema.
In bilico tra il romanzo d'investigazione e il thriller, la vicenda, cavata da un romanzo di Philip MacDonald, parte con uno scrittore che, prima di morire egli stesso in un incidente aereo balbettando oscure parole al solo superstite del disastro, ha consegnato a un detective una lista di dodici uomini, morti accidentalmente negli ultimi cinque anni. Anthony Gethryn, funzionario dell'Intelligence Service a riposo, non tarda a capire che gli incidenti sono delitti perfetti. Non riesce a prevenire altri assassinii, ma alla fine le vittime saranno vendicate.
La trovata del film consiste nel fatto che Bruttenholm (da pronunciare « bruum »), l'assassino, commette i suoi crimini cambiando ogni volta faccia, cioè maschera. Huston la raddoppia con un trucco pubblicitario, associando all'impresa attori celebri come Tony Curtis, Frank Sinatra, Burt Lancaster, Robert Mitchum e Kirk Douglas che, camuffati sotto le maschere di Bud Westmore, fanno le comparse, rivelandosi soltanto nei titoli di coda.
Mettendo a profitto le indicazioni della sceneggiatura di Veiller che gli era già stato complice per “Il tesoro dell'Africa”, Huston manipola con distacco ironico ed elegante disinvoltura la vicenda, diluendone le dosi di umor macabro in un gran bicchiere d'indifferenza. Gli usi, i comportamenti, lo snobismo ora eccentrico ora paludato dell'aristocrazia inglese sono descritti in “I cinque volti dell'assassino” con una continua oscillazione tra ammirazione rispettosa e caricatura beffarda, tra compostezza inglese e brio americano. Da George C. Scott, sempre ai limiti dell'autoparodia in questo personaggio da Sherlock Holmes disincantato, alle vecchie glorie hollywoodiane (Clive Brook, Herbert Marshall, Gladys Cooper), la recitazione è impeccabile (John Huston si vanta di non aver mai avuto difficoltà con gli attori in tutta la sua carriera di regista, con l'eccezione di John Wayne e Susannah York. Col primo per una questione di reciproca, invincibile antipatia; con la seconda - che pure, anche a suo parere, è eccellente in “Freud” - perché gli diede molto filo da torcere durante le riprese: la York era, secondo Huston, un'esponente dell'ultima generazione, quella degli attori ribelli, hippy, arrabbiati che si collegavano, con dieci anni di ritardo e un pizzico di anarchismo da salotto in più, alle bizze e allo snobismo dei divi hollywoodiani dei tempi d'oro).
(Morando Morandini, da “Il Castoro Cinema”)

2 commenti:

amfortas ha detto...

Ciao Giuliano, tra ieri e oggi mi sono letto davvero tanti dei tuoi post. Volevo, più che commentare, farti i complimenti per il tuo lavoro preziosissimo.
Magnifici, tra gli altri, i tuoi scritti su quel geniaccio di Jarmusch, che anch'io venero.
Ciao e spero a presto!

Giuliano ha detto...

ave Paolo! avrei voluto rivederli tutti, i film di Huston e di Jarmusch, ma si fa quel che si può...
occhio che su Raistoria stanno replicando il Puccini con Lionello!! (penso che la prossima replica sia la mattina presto, verso le sei-sette del mattino)