domenica 18 settembre 2011

Ken Loach ( V )

Il lavoro nel cinema: Ken Loach
(Giuliano, anno 2008)
L’amore per i suoi personaggi è la prima caratteristica, quella fondamentale, di Ken Loach. E’ un fatto raro, sia al cinema che nei libri. Ken Loach ama i suoi personaggi di un amore smisurato, li mette in scena con tutti i loro pregi e i loro difetti, ne parla come farebbe una madre con i suoi figli.
Da questo punto di vista, Loach è il vero ed unico erede di Charlie Chaplin. Non nasconde niente: la meschinità, la sporcizia, la violenza. Ma, sempre, su tutto prevale l’amore. Anche nei momenti più scabrosi, Loach pare non voler giudicare; sembra quasi che soffra nel raccontare, proprio come farebbero un padre o una madre davanti al dolore arrecato da un figlio; e c’è anche il pudore, o la gioia estrema, nel raccontare i momenti felici, l’amore per l’appunto.
L’ambito principale dei film di Loach è il lavoro. Non il lavoro d’ufficio, i manager o i pubblicitari rampanti che vanno tanto di moda, ma il mondo del lavoro vero, quello oscuro di cui si parla poco e che si dà quasi sempre per scontato. E che invece è fatto di gente vera, viva, spesso anche bella.
Chi ha lavorato, e chi lavora davvero, sa quanti sono i luoghi comuni sul mondo del lavoro. Magari sono cose dette a fin di bene, per educare i figli: “fai il tuo lavoro, e fallo bene; vedrai che ne sarai ricompensato”. Purtroppo, non è vero: ed è una delle scoperte più amare della vita. Non sempre: a volte capita, certo, che il lavoro fatto bene sia ricompensato. Ma, per fare solo un piccolo esempio, l’impiegato di banca che – solo pochi anni fa - sconsigliava al cliente i bond argentini, o le azioni Cirio e Parmalat, con ogni probabilità stava rischiando il suo posto di lavoro.
Ken Loach si è occupato spesso della disoccupazione e del lavoro precario, e di quale è stato il vero effetto delle riforme di Margaret Thatcher sul mondo del lavoro. Anche volendo sorvolare sugli incidenti sul lavoro (un sorvolare davvero difficile), sono in pochi a rendersi conto che avere lavoratori precari, che saltano da un lavoro all’altro da un giorno con l’altro, significa avere lavori malfatti e mancanza di sicurezza. C’è una forma di massimalismo veramente pericolosa, intorno alle recenti leggi sul mondo del lavoro: chi le critica, magari anche solo in aspetti marginali, diventa immediatamente un terrorista. Il lato divertente è che queste invettive massimaliste vengono quasi sempre da persone “che non hanno mai lavorato”: ex banchieri settantenni con pensioni d’oro, distinte signore che campano magnificamente da decenni tra i vari rami dei vari Parlamenti (anch’esse in età da pensione, e pensione doratissima), stimatissimi commercialisti con quattro dita di pelo sullo stomaco, palazzinari d’antica data... E intanto se si chiede assistenza da una ditta qualsiasi è sempre più difficile trovarsi con un lavoro ben fatto, “come si faceva una volta”, che sia il selciato della strada qui sotto o l’allacciamento dell’ADSL non fa differenza.
Ma mi fermo subito con l’invettiva, qui si parla di cinema e a me preme sottolineare la grande bravura e la grande umanità di Ken Loach. Magari ci vuole un po’ di pazienza, ma le sue storie d’amore sono tra le più belle che mi sia capitato di vedere al cinema; e pazienza se sono capitate ad operai e ferrovieri, mica si può sempre stare su Beautiful.
PS: Una volta avevo un’amica, giovane e di sinistra. Mi chiese che film avevo visto di recente, e io – sciagurato – glielo dissi.
- Un film di Ken Loach, l’ultimo che è uscito.
- Di che cosa parla?
- Dei ferrovieri inglesi. Del momento in cui la Thatcher ha privatizzato le Ferrovie, dell’esternalizzazione dei servizi. E’ la storia di un gruppo di questi ferrovieri, e nel film c’è la descrizione di un incidente sul lavoro, un incidente mortale che viene camuffato da incidente stradale.
- Ah, chissà che noia.
(Anno 2002: il film era “The navigators”, che in Italia è diventato “Paul, Mick e gli altri”. Non uno dei migliori di Ken Loach, ma io avevo visto quello e con una ragazza “di sinistra” pensavo che si potesse parlarne...)
PPS: Io non ho mai lavorato in un ufficio. Quando vedo tutti questi film e telefilm dove c’è “papà che lavora in un ufficio”, “mamma che è ancora in ufficio”, mi chiedo in che mondo vivano. Io conosco solo i turni in fabbrica, la sveglia puntata alle cinque meno un quarto, quindici anni di notti insonni passate in reparto, eccetera eccetera eccetera.

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