lunedì 26 settembre 2011

Terra e libertà

Terra e libertà (Land and freedom, 1995) Regia di Ken Loach. Scritto da Ken Loach e Jim Allen. Fotografia di Barry Ackroyd. Musiche originali di George Fenton. Interpreti: Ian Hart, Rosana Pastor, Icìar Bollain, Tom Gilroy, Marc Martinez, Frederic Pierrot, Andres Aladren, Sergio Calleja, Raffaele Cantatore, e molti altri.  Durata: 109 minuti

E’ un film storico, sulla guerra di Spagna negli anni ’30, poco prima della seconda guerra mondiale. La guerra civile spagnola finì con la vittoria del dittatore Francisco Franco, che poi mantenne il potere fino al 1975, anno della sua morte. A sostenere la repubblica spagnola vennero giovani militanti da ogni parte d’Europa e del mondo: di questo parla Ken Loach, mostrando la partenza di giovani inglesi e irlandesi, arruolatisi come volontari. Loach va anche più in là, parlando delle gravi responsabilità staliniane nella sconfitta delle forze repubblicane spagnole: però qui vorrei limitarmi a parlare del film, che è molto bello e che mi era piaciuto molto al cinema. Il grande schermo è la sua destinazione naturale, e qui andrebbe visto per giudicarlo: come tutti i film con scene di massa e in campo aperto, la visione televisiva non può mai essere soddisfacente. Inoltre, le lingue parlate nel film sono molte, molti gli accenti diversi: è un film che andrebbe visto in edizione originale, cosa che io finora non ho potuto fare (provvederò).
Quando il film uscì mi ero segnato tra i miei appunti alcune interviste di Loach, che riporto qui sotto.
 - Perché ha voluto parlare proprio ora di quel periodo?
- Per tre ragioni: perché quella fu la prima grande guerra contro il fascismo, perché fu la prima grande dimostrazione di solidarietà internazionale fra lavoratori, e infine per far conoscere alle nuove generazioni una pagina di storia occultata spiegando come e perché era nata una rivoluzione vera, come e perchè fu uccisa. E’ una storia che merita di essere raccontata oggi, con i disoccupati in costante aumento e il fascismo di nuovo alle porte. (...) Io però sono più ottimista di George Orwell (che combattè in Catalogna): con venti milioni di disoccupati qualcosa “deve” cambiare. Ma è facile parlare di rivoluzione qui a Cannes. (...)
- Nonostante tutto, crede ancora al marxismo?
- Sì, più che mai. Non certo alle sue degenerazioni burocratiche e dittatoriali: credo nell’uguaglianza, nella solidarietà, nella libertà. Il socialismo, quello vero, è ancora tutto da costruire. Non resta che rimboccarci le maniche.
(Ken Loach, a Cannes per “Land and freedom”, Corriere della sera 23.05.1995)
 ...Sarebbe stato tropo facile ridurre tutta la storia ad un contrasto fra buoni e cattivi, repubblicani contro franchisti. Ho cercato invece di mettere a fuoco il fallimento di una rivoluzione, la rinuncia a un mondo nuovo, che la Spagna repubblicana visse nel 1935. La Rivoluzione Spagnola venne soffocata, e proprio quando stava per avere ragione dei  franchisti, dalle stesse truppe dell’Armata Popolare, rifornite di armi dall’URSS. (...) Avallare gli esperimenti di collettivizzazione delle terre, già ampiamente in atto in tutta la Spagna e particolarmente nel Nord, avrebbe finito con l’erodere il centralismo di Stalin. Un problema di egemonia che le potenze cosiddette democratiche di allora, Francia e Inghilterra innanzitutto, preferirono ignorare, confermando l’embargo delle armi ai repubblicani. Hitler e Mussolini ebbero così campo libero: per entrambi la Spagna diventò il banco di prova per ben più ambiziosi progetti di aggressione. Fu una sconfitta per il socialismo, prima ancora che per la Spagna. Ho sentito l’esigenza di raccontare questo quando la caduta del Muro di Berlino, nel 1989, venne da tutti salutata come il crollo del sistema socialista. Sia a me che a Jim Allen, mio sceneggiatore anche per “L’agenda nascosta” e “Piovono pietre”, era sempre parso che il socialismo non fosse mai nemmeno cominciato. (...)
Ken Loach su “Land and freedom”, da L’Espresso 25.08.1995 (intervista di Daniele Bezzi)
 Queste sono invece riflessioni sul cinema in sè: l’accenno di Loach al “lavorare in sequenza” significa che il film è stato girato nell’ordine in cui lo vediamo sullo schermo, e non – come si fa quasi sempre al cinema – girando prima alcune scene e poi altre, per comodità e per economia, evitando di smontare e rimontare i set. Le cronache di quando uscì il film dicono che agli attori questo metodo piaceva molto: non conoscevano il copione per intero, e non sapevano fino all’ultimo momento cosa sarebbe successo al loro personaggio.
- Dicono che anche sul set lei cerca di vivere secondo questi ideali egualitari. Le cronache di lavorazione descrivono un’atmosfera idilliaca, con gli attori che non volevano “morire” per non doversi separare dal film...
- Non si lasci impressionare, anch’io ho le mie tecniche di manipolazione. Senza scherzi: credo che gran parte del merito vada ascritto proprio alla mia scelta di lavorare in sequenza temporale. Forse perché non sarei capace di fare altrimenti; e comunque perché ritengo che un film non sia altro che far crescere un brano di vita, che può crescere solo per logica conseguente delle situazioni, e senza troppe interferenze. Ed è così che, pur senza mai vedere il copione, i miei attori riescono a calarsi con tanta precisione nel personaggio. (...)
- La sua ansia più grande come regista?
- Le otto di mattina: il film sta per cominciare, e io non ho ancora deciso dove mettere la macchina. Ma anche la fine, quando penso a tutte le cose straordinarie che la lentezza della macchina da presa non mi ha permesso di catturare : certi sguardi, gesti, tensioni, che magari mi è capitato di registrare non proprio al centro della scena, unici, improvvisati, irripetibili. (...)
Ken Loach su “Land and freedom”, da L’Espresso 25.08.1995 (intervista di Daniele Bezzi)
 Queste infine sono le mie impressioni subito dopo aver visto il film, nel 1995:  «Innanzitutto, Loach è bravissimo: nell’inizio, quando deve per forza di cose essere più didascalico, mi sono un po’ perso ad ammirare la bellezza dell’inquadratura, i colori, la recitazione, gli attori che non erano in primo piano, le scene di massa; poi però mi sono fatto prendere dalla storia che veniva raccontata. Ed è evidente che Loach è un classico, per lo stile di narrazione: un grande creatore di affreschi, lineare e convincente, semplice e raffinato, attento al quadro e alla cornice. Non c’è un dettaglio fuori posto, anche quel po’ di retorica è ben controllata; gli attori non sono mai banali o manichini o inutili star, sono scelti con cura e con affetto, ruolo per ruolo, fin nelle parti più brevi. Per quanto riguarda la parte storica, non ne so abbastanza per mettermi a pontificare, e d’altra parte ho già trascritto e conservato molte parti delle interviste a Loach, nei mesi scorsi. »(settembre 1995)

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