venerdì 2 dicembre 2011

L'ipotesi del quadro rubato ( III )

L’ipotesi del quadro scomparso (L'Hypothèse du tableau volé, 1976) Regia: Raoul Ruiz. Sceneggiatura: Raoul Ruiz, Pierre Klossowski. Tratto da “Il Bafometto” di Pierre Klossowski e citazioni tratte dalla “Revue des deux mondes” e da “L'Artiste”. Fotografia: Sacha Vierny, Maurice Perrimond. Montaggio: Patrice Royer, Maurice Perrimond. Scenografia: Bruno Beaugé. Musica: Jorge Arriagada. Interpreti: Jean Rougeul (il Collezionista), Gabriel Gascon, Anne Debois, Chantal Palay, Alix Comte, Jean Narboni, Christian Broutin, Jean Damien Thiollier, Stéphane Shandor, Isidro Romero, Bernard Daillancourt, Alfred Bailloux, Claude Hernin-Hibaut, Nadège Finkelstein, Jean Reno. Premi, Festival: Parigi 1978, Cannes 1978. Durata: 63 minuti.

Collezionista: Due osservazioni. Due osservazioni sui quadri. E ancora due osservazioni, questa volta però di carattere generale. (estrae da un cassetto dei piccoli manichini, che sono serviti come prova generale per i tableaux vivants). Primo: queste sette tele sono legate da un filo conduttore; e poiché una di esse fu oggetto di attacchi violenti - e vedremo per quali ragioni i nostri avi agirono così - e altre due o tre vennero considerate semplicemente scioccanti, possiamo affermare che fu l’intera esposizione ad essere considerata scandalosa: l’insieme dei quadri, e ciascuno di essi preso singolarmente. (apre un altro cassetto e vi ripone i piccoli manichini; sullo sfondo c’è una tavola anatomica).
Secondo: quando esaminiamo ciascun quadro in particolare, non possiamo non restare colpiti da alcuni particolari curiosi. (si alza e va verso uno dei dipinti). Questo, per esempio. Osserviamo due crociati intenti a giocare a scacchi; dicono che la messa in scena sia teatrale, ma cosa significa teatrale? I gesti? La disposizione dei personaggi? No, niente affatto. La sua teatralità deriva da un semplice dettaglio, la luce. Da questi due raggi di luce (li indica) l’uno proveniente dalla finestra di destra e l’altro da quella di sinistra...(fa convergere i due raggi, in basso al centro del quadro; poi si allontana e continua il discorso). A suggerire un mondo con due Soli.  Badate, questo non è che uno dei numerosi esempi. (esce, va a sedersi nell’altra stanza, prende un binocolo, poi ricomincia).
Vediamo ora le altre due osservazioni, quelle di carattere generale. Tenendo conto del contesto storico possiamo affermare che i quadri non mostrano nulla, essi piuttosto alludono. Ciò che i nostri padri vedono, ciò che è sulla bocca di tutti quando intervengono le autorità, è “la cerimonia”. La cerimonia, il cui rituale allora non era noto a nessuno, e che oggi arriviamo appena ad immaginare, durante quegli anni era sul punto di divenire un’abitudine quotidiana. Questo doveva essere impedito.
Qualche mese dopo l’esposizione, la polizia entra in casa del pittore e sorprende la cerimonia. Le autorità non hanno alternative, devono intervenire rapidamente. Il pittore Tonnerre a quel punto si difende, protesta dall’Italia, dichiara la sua innocenza con lettere commoventi, e inverte abilmente le regole del gioco. Egli dichiara che la cerimonia non esiste, e che ciò che gli altri hanno chiamato con quel nome, ciò che la polizia ha visto con i suoi stessi occhi, non è che la semplice rappresentazione di quei quadri attraverso un noto mezzo tecnico, quello dei “quadri viventi”. (sorride) Oggi possiamo immaginare quale deve essere stata la reazione delle autorità di fronte ad una simile difesa; possiamo immaginare il sorriso ironico di qualcuno, e la risata crassa di qualcun altro. Questo tipo di reazioni erano inevitabili, tuttavia oggi possediamo altri strumenti di analisi e possiamo comprendere ciò che voleva realmente intendere il pittore Tonnerre protestando la propria innocenza.  Egli era tre volte colpevole. Che terribile rivelazione! I quadri non alludevano, essi mostravano. Essi erano la cerimonia. Eppure, i quadri non mostrano: alludono. I quadri, una volta messi in scena attraverso la tecnica dei quadri viventi, non alludono: essi mostrano.
(si alza, esce da una porta)
Speaker: Dopo aver aperto la porta, il collezionista ci conduce in un salone con un ampio giardino. Si avvicina alla finestra. (vediamo anche noi la scena) Con l’aiuto di un binocolo, osserviamo in fondo al giardino la riproduzione vivente di una scena mitologica: vicino a un lago, la cacciatrice e il suo arco. Riparato dalla vegetazione, lo sguardo di Atteone esita tra la visione di Diana e l’apparizione della preda. (ci si inoltra nel dettaglio del tableau vivent)
Speaker: Questo terzo personaggio è davvero necessario? Perché questa terza persona, e perché ha uno specchio in mano?
Collezionista: (sempre alla finestra, col binocolo) Lo specchio di cui lei parla forse serve ad accecare la preda. Il ruolo della terza persona nella scena di Diana e Atteone ha un’importanza inaspettata. In effetti è evidente che questo terzo escluso fa irruzione nella scena unicamente per spiare la spia. D’altra parte, non è impossibile che la preda sia lo stesso Atteone, metamorfizzato, cacciato per aver osato guardare la dea.
Ma cosa ci porta a pensare che questo quadro sia il primo di una serie? Che cosa ci conduce a quello che noi possiamo considerare il successivo? A costo di mettere in dubbio una connessione sin troppo facile, vorrei permettermi di seminare un dubbio: e se il tema di Diana cacciatrice non fosse che una falsa pista? E se gli elementi insoliti non fossero che delle trappole? E se dovessimo seguire la pista al di fuori della scena? Una pista svelata da un dettaglio secondario, posto in bella vista sotto gli occhi di tutti? Dobbiamo ammettere che questo stravagante accessorio di caccia, lo specchio, ci offre un filo conduttore in grado di assicurare il proseguimento della storia.
(Diana si muove nel giardino, noi la seguiamo)
(continua)

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