sabato 10 marzo 2012

The dreamers ( I )

The dreamers (2003) regia di Bernardo Bertolucci. Da un racconto di Gilbert Adair. Sceneggiatura di Bernardo Bertolucci e Gilbert Adair Fotografia: Fabio Cianchetti Musica: Jimi Hendrix, The Doors, Bob Dylan, Fred Astaire, Michel Polnareff, Charles Trenet, Françoise Hardy, Nino Ferrer, Martial Solal, The Platters, Edith Piaf. Con Michael Pitt, Eva Green e Louis Garrel ; Anna Chancellor e Robin Renucci (i genitori), Jean-Pierre Kalfon, Jean-Pierre Léaud, Henri Langlois (immagini di repertorio), Florian Cadiou, Pierre Hancisse (115 minuti)

Un attimo prima del maggio ’68, a Parigi, due ragazzi e una ragazza si trovano da soli in un appartamento, e fanno vita comune. Sembrerebbe un film come tanti, ma c’è molto di morboso in questa situazione, anche perché due di loro sono fratello e sorella. Ma non è questo il punto, e ho trovato fastidioso, quando è uscito il film, il troppo indulgere, anche del trailer, sulle scene di sesso. Si sa che Bertolucci dal sesso è molto attratto, e ci gioca parecchio, almeno dal tempo di “Ultimo tango a Parigi” che aveva questa stessa situazione decisamente claustrofobica, sia pure dentro una storia molto diversa. C’è anche, ed è importante, il gioco del cinema nel cinema: con molte citazioni importanti e con i tre ragazzi che rifanno la scena di “Jules e Jim” di Truffaut della corsa per i corridoi del Louvre. Ma, mi ripeto, non è questo il punto.
A me piace molto il modo di fare cinema di Bertolucci, che anche in questo film si conferma un maestro: nelle immagini, nel modo di raccontare, nel guidare gli attori. Insomma, questo è proprio un Bertolucci, con tutti suoi pregi e tutti i suoi difetti, compreso il troppo indulgere sul sesso. Il difetto vero del film è invece che per capirlo bene bisogna avere una certa età, e anche una certa formazione. Per esempio, nel film Bertolucci dà quasi per scontato che tutti conoscano Chaplin e Keaton: ahinoi, non è più così... Una volta i loro film erano programmati regolarmente in tv, ma per un ragazzo di 15-25 anni non è mica così scontato. Anzi, si potrebbe senz’altro dire che l’essere troppo appassionati di cinema, e in genere l’essere troppo appassionati di qualcosa che non sia la formula uno o il campionato di calcio o il festival di Sanremo, è diventato un handicap, un difetto grave dal quale bisogna emendarsi: è una spiacevole novità degli ultimi vent’anni, mentre non era così negli anni ’60 e ’70, dove uno poteva dire di ricordarsi di questo o quel film, o di questo o quel libro, senza doversene vergognare pubblicamente.
Ma non vorrei parlare troppo di queste cose, non oggi: perché questo è un film da vedere, e perché – oltre alla bella confezione – contiene un messaggio importante (il famoso "messaggio": una volta si usava, oggi invece è diventata una parola sconveniente...). Il messaggio è questo: che non bisogna chiudersi in se stessi, e che le società che si chiudono su se stesse finiscono per morire. Morire per asfissia, e infatti è questa la decisione che prende nel finale la protagonista; ed è grazie a un intervento da fuori (dalla vita vera), cioè un sasso che rompe il vetro, che viene evitata la morte dei tre ragazzi per asfissia, perché la ragazza aveva chiuso tutto e aperto il gas. In questa chiave vanno lette anche le cose che hanno disturbato molti degli spettatori del film: l'incesto, la masturbazione, e tutto quel rinchiudersi (al cinema prima, e poi nell'appartamento). E poi il finale: anche la violenza (la violenza dentro il '68 francese) è un richiudersi su se stessi, un negarsi al dialogo. Nel libro da cui è tratto il film, il finale era diverso e il ragazzo americano moriva colpito da un proiettile vagante; ed quindi è un gran bel messaggio che ci manda Bertolucci, e molto attuale. Peccato che poi in tv e sui giornali si parli soltanto delle scene di sesso...
(anno 2003, da un blog precedente)
The dreamers è bello e difficile. Bertolucci ha la capacità di avvincere, e questo è anche il suo limite: per questo film si è parlato quasi soltanto delle scene di sesso...Invece il significato è più profondo, a chiudersi in se stessi si rischia di morire asfissiati. Così sta facendo la nostra società, e non c’è neanche un ’68 alle porte che ci possa salvare dandoci una via d’uscita, più o meno apparente. Bertolucci, figlio di un poeta, lo ha capito e ce lo spiega. (anno 2003, miei appunti)
«Quando abbiamo deciso quel titolo sapevamo che una parte del pubblico intende la parola "sognatori" quasi come insulto, ma l'ho chiamato così perché è la capacità di sognare quella che ci porta avanti, che il sogno sia realizzato oppure no. L'importante è sognare».
(Bertolucci al Venerdì di Repubblica, luglio 2010)
(continua)

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