venerdì 20 aprile 2012

Riusciranno i nostri eroi...

Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa? (1968) di Ettore Scola. Sceneggiatura di Agenore Incrocci, Furio Scarpelli, Ettore Scola. Fotografia: Claudio Cirillo. Musica: Armando Trovajoli. Con Alberto Sordi, Bernard Blier, Nino Manfredi, Erika Blanc, Franca Bettoia, Giuliana Lojodice, Manuel Zarzo, José Maria Mendoza, Roberto De Simone (130 minuti)

Un “Cuore di tenebra” alla rovescia, un “Apocalypse now” dove invece di trovare Marlon Brando pallido, nell’ombra, tormentato, nel cuore dell’Africa appare invece Nino Manfredi in gran forma, sorridente e abbronzato, in pieno sole, un po’ preoccupato per i casini che ha lasciato in giro ma tutto sommato felice.
Disincantato e un po’ sfottente, Nino Manfredi, alias Titino, è il cuore di questo film. Non proprio un “cuore di tenebra” come in Joseph Conrad, ma qualcosa che inquieta c’è.
Titino è il cognato di Alberto Sordi, editore benestante, ed è scomparso misteriosamente in Africa da mesi, forse da anni. La cognata di Sordi piange sempre, non ha più sue notizie, che fare? Spinto dalla moglie, ma ancora più dalla curiosità di andare a vedere quelle terre che racconta nelle enciclopedie a dispense e nei libri che lo hanno reso ricco, l’editore Sordi parte per l’Africa misteriosa (negli anni ’60 l’Africa era ancora misteriosa). Nel partire, si porta dietro il suo ragioniere, ed è così che nasce una delle coppie più strampalate della storia del cinema. Il ragioniere, piccolo pelato e grassottello, è l’attore francese Bernard Blier: quanto di più inadatto all’Africa si possa immaginare, eppure funziona. Questa strana coppia, che ricorda molto il cartone animato di Yoghi e Bubu, riuscirà davvero a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa, ed è un risultato ben oltre le aspettative – ma con finale a sorpresa, che non svelo perché magari siete rimasti gli unici a non averlo mai visto.
Un film lungo, prolisso, scombinato, eccessivo, casinista: ma non poteva essere diversamente (non è un soggetto che si può risolvere in un’ora e venti) e alla fine è un bel film, con un messaggio valido, dove Alberto Sordi non è un eroe negativo come tante altre volte (come sempre, a meno che non lo prendano per mano Comencini, Risi e Scola). E’ uno dei miei film preferiti, l’ho visto da bambino e mi è sempre piaciuto per questo suo mix di casino “alla Sordi” e di film d’impegno, di avventura e di vacanza fatta a Rimini in sandali in agosto, e di chissà quant’altre cose ancora.
Il bello è che quando fu girato questo film non solo non c’era ancora “Apocalypse now”, ma Francis Ford Coppola non aveva nemmeno incominciato a fare film...
Tra le scene memorabili: Nino Manfredi che fa lo sciamano, con l’apposito costume, serissimo e compreso nella parte; Blier e Sordi che fanno un’epica scazzottata con lo schiavista portoghese («Che cosa ha detto?» «Ha detto: “petasso de cornudo”.» « E che vor dì? Lei lo sa, ragioniere, che vor dì?» « Petasso no, ma cornudo sì.») ; la litania finale degli africani piangenti verso Nino Manfredi, che lo invitano a restare con loro: Titì-nuncé-lassà!, a quel che risulta invenzione totale di quella sagoma di Manfredi, non presente in origine nella sceneggiatura.

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